[Nota: Pubblicato dall’autrice in esclusiva su L’Indro e ripreso per gentile concessione]
Un breve filmato può risultare più potente di mille parole. Agire da testimonianza ed evidenza. Mostrare contenuti inequivocabili e stimolare valutazioni e giudizi. Nelle ultime settimane ha fatto molto discutere il video realizzato dall’Ente no profit americano ’Invisible Children’ focalizzato sulla figura di Joseph Kony a capo del Lord’s Resistance Army (LRA), che per oltre un ventennio ha terrorizzato la popolazione ugandese, soprattutto nel Nord del Paese.
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Ha fatto meno scalpore ed è meno noto, invece, il video realizzato da Witness che è risultato un notevole contributo alla condanna da parte della Corte Criminale Internazionale di Thomas Lubanga, leader di un sanguinario gruppo ribelle che agisce nella Repubblica Democratica del Congo.
Non occorre essere esperti di comunicazione e di social media per accorgersi della differenza tra i due documenti e valutarne la filosofia e l’eventuale impatto sul pubblico.
Il primo potrebbe superficialmente essere giudicato un’’americanata’ tendente alla spettacolarizzazione, alla commercializzazione (vedi kit e magliette della cosiddetta campagna ‘Kony 2012’), ad una generica raccolta fondi per l’organizzazione. Se non fosse che motivi più seri e di strategia politico-militare sono stati sottolineati e analizzati da esperti che da tempo lavorano e interagiscono sul campo (in questo caso il Nord Uganda).
Molto chiaro, a questo proposito, l’articolo di Adam Branch apparso su ’Al Jazeera’, dal titolo: ‘Dangerous ignorance: the hysteria of Kony 2012’. (Branch è tra l’altro autore del testo: ‘Displacing human rights: war and intervention in Northern Uganda’). L’accademico e scrittore definisce quelli di Invisible Children degli “useful idiots” che di fatto si lasciano usare dal governo degli Stati Uniti la cui intenzione è quella di militarizzare l’Africa. L’organizzazione, infatti, sta ottenendo il sostegno dei politici americani – repubblicani come democratici – per l’invio di truppe che avrebbero lo scopo (ufficiale) di supportare i militari ugandesi nella ricerca del criminale. Inoltre tale video di fatto avrebbe, secondo l’autore dell’articolo, l’effetto di distrarre l’opinione pubblica dai problemi reali che affronta oggi l’Uganda, e in particolare il Nord del Paese. Tra questi la requisizione di terre ai contadini locali da parte di investitori stranieri appoggiati dal governo. Altre analisi che spiegano i motivi per i quali la campagna lanciata da Invisible Children è sbagliata e non rispondente all’obiettivo dichiarato (portare all’arresto di Joseph Kony), si possono leggere qui.
Di ben altra natura il video realizzato da Witness, ‘A Duty to Protect’, che racconta – con poche parole e dalla voce delle protagoniste – la storia di Mafille e January, due ragazze rapite, abusate e trasformate in soldati da un gruppo militare che da anni terrorizza la Repubblica Democratica del Congo e che fa capo a Thomas Lubanga. Una situazione attuale, contrariamente al video ‘americano’ che di fatto si riferisce ad eventi che non si ripetono dal 2006 circa. L’esercito di Kony ha smesso infatti di agire nell’area del Nord Uganda e si è trasferito invece nel Congo. Ecco anche perché la stessa reazione di ugandesi che hanno assistito alla proiezione pubblica del filmato è stata di critica e sconcerto. “Se alle persone in quei Paesi interessa davvero la nostra situazione, nessuno dovrebbe più indossare magliette con l’immagine di Joseph Kony” ha detto un intervistato. “Farlo significherebbe gioire delle nostre sofferenze.”
“C’è della gente, una qualche organizzazione non governativa, che cerca di mobilitare risorse usando le atrocità commesse nell’Uganda del Nord.” È stato un altro commento.
In ogni caso il dibattito sul video di Invisible Children ha avuto il merito di riaprire porte e finestre (attraverso i social media) a chi l’Africa vuole rappresentarla e vederla rappresentata non solo nei suoi aspetti negativi. Una di queste è #WhatILoveAboutAfrica, pagina Twitter che ospita commenti e motivazione del “Cosa amo dell’Africa”.