Le notizie dal Sudan e dal Sud Sudan, nelle ultime settimane sono peggiorate molto. Nel Sudan è sempre più a rischio la vita di oltre 450.000 cittadini sud-sudanesi che lavorano e vivono al Nord dai tempi della guerra e dell’unione.
Tutti questi cittadini, stando alle normative imposte dalla dittatura di Omar-el-Bashir, dovranno lasciare il Nord per tornare ai loro villaggi di origine nel Sud, pena l’applicazione della shari’a. Solo coloro che lavorano per il Nord potranno rimanere. Se le leggi verranno applicate alla lettera, da aprile inizierà un nuovo genocidio, pari a quello del Darfur, e a quello in corso sui monti della Nubia, nel Sud-Kordofan e nel Blue Nile (i due stati meridionali del Sudan, confinanti con il Sud Sudan).
Non si riesce a capire, o meglio si capisce benissimo, che gli Stati occidentali sono “distratti” da altri interessi… Il poco petrolio della zona settentrionale del Sud Sudan interessa solo ai cinesi, i quali, con la loro proverbiale pazienza, aspettano solo che i due contendenti si scannino tra loro per acquistare poi il prodotto dal vincitore, che, allo stremo, dovrà venderlo anche sottocosto.
Di ieri l’appello di Medici Senza Frontiere, che sta assistendo 80.000 profughi in fuga dal Nord nello stato di Jonglei (Nord-Est del Sud Sudan).
Negli USA si sta sviluppando un movimento “anti-Bashir”: in buona sostanza si chiede solo che venga applicata la sentenza di anni fa della Corte di Giustizia Internazionale e venga arrestato il dittatore sudanese, già condannato per il genocidio in Darfur. In teoria potrebbe essere arrestato da qualsiasi polizia, essendoci un mandato internazionale, ma dalla condanna a oggi Bashir ha partecipato a innumerevoli consessi internazionali in varie capitali, compresa Juba, godendo della più totale impunità.
La notizia di qualche giorno fa dell’arresto, seppure solo per qualche ora, del “personaggio pubblico” George Clooney – a parte l’ilarità che ha provocato il fatto di vederlo ammanettato e portato via con un cellulare – fa pensare. Clooney stava dimostrando a favore del popolo Sud-sudanese e contro i genocidi di Bashir. Qualche giorno fa aveva parlato al presidente Obama e davanti al Congresso degli USA, spiegando la situazione che ben conosce, essendo stato in Sud Sudan di persona e per diverse volte.
Fin qui i problemi internazionali tra Sudan e Sud Sudan.
I problemi però si estendono anche all’interno, fra i vari gruppi etnici, per la lotta alla divisione del potere nel futuro Parlamento, ma anche delle aree in via di sviluppo, prima fra tutte quella intorno all’attuale capitale Juba.
La città si sta espandendo a vista d’occhio, dopo l’indipendenza, per l’arrivo di tanti rifugiati dal Nord e tanti contadini e pastori che vedono il miraggio della città commerciale e di lavori meno faticosi. A parole il territorio intorno è stato diviso tra varie etnie. Così i Dinka, al potere, nei giorni scorsi si sono scontrati con Nuer e altri gruppi per degli appezzamenti di terreno.
Alla fine si sono contati ben cinque morti, che sono stati portati davanti alla sede del Governo, a maggioranza Dinka, per dimostrare come il trattamento tra questa etnia e le altre, circa sessanta, non sia dei più equi.
Sabato 4 marzo uno dei nostri lavoratori migliori, che abita poco oltre il confine con l’Uganda non ha potuto tornare a casa.
La frontiera era stata chiusa e la strada bloccata dalla polizia ugandese perché a Moyo, il villaggio dove vive Mattia, era stato teatro di incidenti piuttosto violenti tra l’etnia Madi, ugandese, e l’etnia Kuku, sudanese…
Per fortuna solo qualche ferito e anche Mattia ha potuto poi trascorrere la domenica a casa.
Questa è la realtà del nuovo Stato africano. Queste sono le premesse di un’indipendenza conquistata dopo quasi cinquanta anni di guerre e paci con i sudanesi del Nord.
Ma questo è anche il risultato a lungo termine delle divisioni fatte a tavolino, sulle carte geografiche, alla fine della colonizzazione, dai generali occidentali, che non hanno mai e da nessuna parte tenuto conto delle etnie che vivono qui: una cosa sono i pastori Dinka, un’altra sono i contadini Kuku, altra ancora gli Azande, e così via. Per fare un esempio, la zona abitata da questa ultima etnia è stata suddivisa tra Repubblica Centrafricana, Congo, Uganda e Sud Sudan.
Come sarà possibile che questi popoli si ritrovino proprio ora davanti ad un tavolo di pace, ora che ci sono gli interessi speculativi sul coltan, sul legname, sui terreni per lo sviluppo di energie bioalternative? Questi popoli continuano e continueranno ad essere assoggettati alla finanza e al potere occidentali e finiranno per scomparire, con l’aiuto delle mutinazionali che collaborano alle guerre finanziando gli armamenti di tutti i “signori della guerra” locali, interessati solo al loro proprio potere.
Ricordiamoci che l’Italia è il secondo produttore di armi leggere al mondo, e che l’unica industria veramente attiva è la Finmeccanica, nei suoi settori bellici.
Dipende anche da noi.