Cina: contro l’AIDS occorrono più farmaci indiani

L’epidemia di AIDS è sotto controllo in Cina, secondo una stima congiunta di OMS, Programma delle Nazioni Unite per l’AIDS (UNAIDS) e Ministero cinese della salute. Il rapporto informa che, con circa 780.000 persone infette nel Paese il tasso totale di infezione rappresenta oggi lo 0,058 per cento. Al settembre 2011, su 154.000 malati in stadio avanzato e con necessità di cura, oltre 136.000 risultavano in terapia. Queste stime portano l’effettiva copertura terapeutica per AIDS in Cina al 73,5 per cento degli aventi bisogno, con un incremento del 11,5 per cento rispetto al 2009.

Alla luce di questi dati, il riferito aumento di 40.000 unità del numero totale di casi dal 2009 in Cina fortunatamente riflette gli sforzi del governo verso la prevenzione e l’accesso alle cure, con esito in riduzione dei decessi e migliore qualità di vita. Infatti, solo un numero limitato di nuove infezioni è oggi documentato.

Il successo cinese è in linea con gli ultimi dati OMS di contenimento mondiale dell’epidemia. La metà circa delle donne gravide infette nei Paesi a basso e medio reddito è oggi sotto efficaci terapie per la prevenzione della trasmissione del virus dell’AIDS al nascituro. E questo in conseguenza del migliorato accesso ai servizi di diagnosi e assistenza: in Africa il 61 per cento delle gravide accede ora a questi servizi, rispetto al solo 14 per cento registrato nel 2005. In totale, oltre 6 milioni di persone, di cui quasi 500.000 di età inferiore ai 15 anni, sono attualmente in cura nelle stesse aree geografiche (incrementi del 27 e 29 per cento rispetto alle statistiche del 2009) soprattutto grazie all’import, a prezzi bassissimi, di medicine “top quality” dall’India.

HIV-AIDS posters, foto dell'utente flickr Tricia Wang 王圣捷 su licenza CC

Ma i buoni risultati conseguiti dal colosso cinese sarebbero ottimizzati se l’impegno all’educazione alla salute, alla prevenzione, e alla lotta contro la discriminazione sociale fosse più insistito e capillare e se le cure fossero rese disponibili a molti più malati. Al riguardo, la Cina è indietro rispetto a Botswana, Namibia e Rwanda, Paesi ben più modesti ma che già hanno raggiunto l’80 per cento di copertura per prevenzione, assistenza e accesso alle terapie anti-AIDS.

In questo senso, un maggiore impiego in Cina di farmaci anti-AIDS prodotti in India, che coniugano qualità con prezzi accessibili, sarebbe di grande vantaggio.

La Cina, però, è riluttante all’acquisto routinario di farmaci indiani anche se molti di questi (inclusi prodotti per malaria, tubercolosi, influenza e AIDS) esibiscono da tempo certificazione OMS di qualità. E questo nonostante che la capacità della Cina a produrre medicine sofisticate sia scarsa e che solo a pochissimi farmaci cinesi l’OMS abbia riconosciuto certificata qualità.

Di conseguenza non stupisce che la Food & Drug Administration cinese continui ad importare i costosi farmaci anti-AIDS prodotti dalle multinazionali del mondo occidentale trascurando le formulazioni indiane che sono dieci volte meno care.

Potrà la Cina ignorare a lungo le opportunità offerte dai farmaci indiani? Probabilmente no, soprattutto se l’attuale dipendenza dall’India per controbilanciare l’influenza americana nel Pacifico funzionerà da incentivo all’importazione di volumi crescenti di prodotti indiani, medicine incluse. Questa soluzione verrebbe a soddisfare le necessità di universale copertura terapeutica per i pazienti cinesi, al contempo allineandosi alla richiesta dell’India di maggiore export del suo high-tech verso la Cina.

[Nota: l’articolo originale di Daniele Dionisio, responsabile del progetto GESPAM, è apparso su Equilibri.net e ripreso dietro autorizzazione].

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