Migranti in carcere, tra suicidi e abusi di potere
“La verità verrà accertata e i responsabili saranno puniti”. È questa la frase rituale pronunciata da governanti e autorità inquirenti nei giorni che seguono la morte di un detenuto in circostanze misteriose. La situazione delle carceri italiane è al collasso in balìa di vecchi e nuovi problemi. Maltrattamenti, abusi di potere e situazioni di degrado rappresentano ormai la normalità. In un sistema carcerario in cui il sovraffollamento e le degradanti condizioni igienico-sanitarie si scontrano con l’atavica mancanza di risorse finanziarie, la legislazione d’emergenza si sostituisce a un intervento strutturale e riformista.
È di poche settimane fa la notizia dell’archiviazione dell’ennesimo caso sospetto. La tragica fine di Saidou Gadiaga, uomo senegalese di trentasette anni morto nella caserma dei Carabinieri di Piazza Tebaldo Brusato a Brescia. L’uomo venne arrestato in quanto sprovvisto del permesso di soggiorno e già destinatario di un provvedimento di espulsione. Il fatto è avvenuto il 12 dicembre 2010, tredici giorni prima che l’Italia recepisse la normativa europea sui rimpatri che ha annullato il reato di inosservanza al provvedimento di espulsione. Soltanto due settimane per tracciare il confine tra un uomo onesto e un criminale, tra un uomo libero e un uomo privato della sua vita, oltre che della sua libertà.
Batteva i pugni contro la porta della cella, Saidou, implorando aiuto. Le urla erano strozzate in gola da un attacco d’asma mentre gli occhi sembrano uscir fuori dalle orbite. Trascorse interminabili minuti di supplizio prima che un carabiniere si decidesse ad aprire la porta della cella senza peraltro prestare alcun soccorso mentre Saidou si reggeva a malapena in piedi prima di accasciarsi al suolo privo di vita.
È questa la ricostruzione dei fatti, ripresa da una telecamera installata nell’atrio antistante la camera di sicurezza, e confermata da un testimone, Andrei Stabinger, detenuto nella cella accanto. Le immagini hanno ripreso l’agonia di un uomo lasciato morire nella totale indifferenza degli agenti preposti alla sua custodia. “Ora anche il Gip Buonamartini conferma che questa terribile vicenda rientra nella norma” afferma l’associazione Diritti per Tutti. E incalza: “Noi non ne siamo affatto rassicurati. Al contrario, non potremmo avere conferma più chiara della necessità di essere sempre più vigili, attivi, solidali contro gli abusi di potere compiuti dai tutori dell’ordine, soprattutto a danno di chi la legge espone ad una condizione di pesantissima vulnerabilità, come i migranti”.
Un altro caso dai contorni poco chiari è quello del tunisino Ismail Ltaief, ex detenuto nell’istituto di pena di Velletri dove faceva il cuoco. Ismail venne ridotto in fin di vita da alcuni agenti all’interno del carcere. La sua unica colpa, quella di aver denunciato alcuni furti di derrate alimentari da parte del personale di polizia penitenziaria. Pressioni psicologiche e minacce sono poi sfociate in una violenza cieca che ha svelato profonde frustrazioni personali. Una situazione instabile di cui risente inevitabilmente anche il personale addetto alla sorveglianza, che tocca con mano le difficoltà dei reclusi. Il caso di Ismail è stato diffuso dall’associazione radicale Il detenuto ignoto grazie alla quale il giovane tunisino ha ottenuto un supporto legale, spesso precluso ai detenuti migranti, che ha permesso di portare alla luce questa ignobile vicenda.
Queste sono soltanto alcune delle storie di morte in carcere, divenute ormai prassi quotidiana. Per non parlare dei continui atti di autolesionismo dei detenuti che sfociano in suicidi annunciati. E i dati riportati dal Dossier “Morire di carcere” sono impressionanti. “Il tasso medio di sovraffollamento a livello nazionale è pari al 150% (circa 68.000 detenuti in 45.000 posti)”. E ancor più agghiacciante è l’alta percentuale di chi si toglie la vita in attesa di sentenza definitiva che ne dichiari la colpevolezza. “In tutti gli Istituti nei quali si è registrato più di un suicidio nell’anno 2011 il tasso di sovraffollamento risulta essere superiore alla media nazionale”, già di per sé disumana.
Un quadro sociale esplosivo che rischia di deflagrare in breve tempo e colpire i soggetti più deboli, così come più volte denunciato da Articolo 21, Associazione a difesa della libera informazione:
Nel momento in cui lo Stato priva della libertà uno dei suoi cittadini, più che mai si fa garante della sua incolumità, della sua salute. Nelle carceri italiane, invece, si sconta un supplemento di pena, oltre alla detenzione in quanto tale; nelle carceri italiane ci si uccide per disperazione dopo pochi giorni di detenzione, ci si ammala, si vive in condizioni vergognose.
L’approccio alle problematiche sociali necessita di una visione differente in grado di riportare l’essere umano al centro della discussione, nel pieno rispetto dei diritti inviolabili sanciti da quella stessa Costituzione che troppe volte invocata viene puntualmente disattesa, anziché aizzare le folle con la caccia al clandestino, sventolando la bandiera del rispetto dei diritti civili, nello stesso momento in cui i diritti umani vengono brutalmente oltraggiati.