Etiopia tra gruppi armati e minacce alla stabilità

La recente uccisione di cinque turisti europei, e il rapimento di altri due nella regione dell’Afar, hanno riacceso i riflettori sulla questione dei movimenti di resistenza armata che da anni lottano contro Addis Abeba per ottenere la piena autonomia. Lo stretto controllo del Primo Ministro Zenawi sulla politica nazionale e sulla società civile, attuate spesso con una dura repressione del dissenso, non sono stati sufficienti a placare le rivendicazioni dei movimenti indipendentisti non solo nella regione dell’Afar, ma anche in quelle dell’Oromo e dell’Ogaden.

Le vicende legate alla lotta armata di questi gruppi hanno acquisito sin dalle prime fasi una valenza che travalicava i confini nazionali. Come si osserva in molti altri Paesi africani, le popolazioni di alcune etnie si trovano sotto il controllo di una o più autorità politiche percepite come estranee e questo è uno dei motivi alla base delle aspirazioni indipendentiste e la formazione di gruppi armati, spesso appoggiati da governi esteri. Nel continente africano, ed in particolare nel Corno d’Africa, la pratica delle reciproche interferenze dei governi nelle questioni interne di altri Paesi ha contribuito in misura notevole al protrarsi di molti conflitti, ponendo seri rischi per l’allargamento dei disordini allo scacchiere regionale. E’ questo il caso del conflitto nelle regioni dell’Afar, Ogaden e Oromia.

La regione dell’Afar: le cause del conflitto e la situazione attuale

L’Afar è una dei nove stati regionali della repubblica Federale di Etiopia ed è situato a nord-est del Paese, al confine con Eritrea e Gibuti. Il territorio dell’Afar è prevalentemente arido, con temperature da 18 a 45 gradi Celsius e precipitazioni da 255 a 560 mm annue, mentre l’altitudine va da un massimo di 1500 metri ad un minimo di 166 metri sotto il livello del mare. La regione è spesso affetta da lunghe siccità e per questi motivi è stata storicamente popolata da pastori nomadi che compiono lunghi spostamenti per approvvigionarsi di acqua. Le poche aree coltivabili sono situate in prossimità del fiume Awash, l’unica fonte permanente di acqua e importante approdo per le comunità pastorali durante la stagione secca. Gli Afar rappresentano ancora oggi uno dei principali gruppi nomadici nel Corno d’Africa.

La pastorizia è l’attività economica prevalente per le popolazioni Afar e, quindi, le modalità con cui queste hanno accesso alle risorse basilari, quali terreni e acqua, hanno da sempre costituito un motivo di potenziale conflitto sia all’interno delle comunità Afar, sia con altre etnie quali i somali Issa.

Con il rovesciamento del regime del Derg e l’insediamento al potere del nuovo governo, la regione dell’Afar ha beneficiato della riorganizzazione amministrativa del Paese su base etnica (federalismo etnico). Ognuno dei nove stati regionali ha ottenuto ampie prerogative in materia di governo locale e, in virtù degli art. 78 e 34 dell’attuale costituzione, il riconoscimento legale dei tradizionali meccanismi di composizione delle dispute. Sebbene la stessa costituzione (art. 40) stabilisca il diritto delle comunità pastorali a non essere trasferite dai propri luoghi di origine, la proprietà di tutti i terreni appartiene solo allo Stato ed è quindi il governo di Addis Abeba a decidere circa la loro utilizzazione. La programmazione economica ha comportato un continuo “esproprio” di terreni da destinare alla produzione agricola intensiva, senza porre in essere misure idonee a garantire forme alternative di sostentamento per le comunità che da secoli sono insediate in queste regioni. In prossimità del fiume Awash, indispensabile fonte idrica per gli abitanti ed il bestiame, circa 90.000 ettari sono stati sottratti alle comunità pastorali per aumentare la produzione di zucchero.

Da anni ormai si assiste al progressivo peggioramento delle condizioni di vita di queste persone, non solo a causa della continua riduzione delle aree a disposizione e delle frequenti siccità, ma anche per motivi politici. Etiopia, Eritrea e Gibuti, infatti, hanno continuato ad attuare misure penalizzanti per le popolazioni Afar che hanno come effetto la crescente marginalizzazione e l’impoverimento di queste ultime. La presenza di gruppi diversi dagli Afar, con cui sempre più spesso le risorse sono contese, ha alimentato la conflittualità tra i vari gruppi. La diffusione di armi leggere e l’erosione dei tradizionali meccanismi di soluzione delle controversie, inoltre, hanno spianato la strada per lo scoppio di scontri interetnici nella regione, in primis con gli Issa.

Due terzi dei circa due milioni di appartenenti a quest’etnia vive nella regione omonima in Etiopia, mentre la restante parte è divisa tra Eritrea e Gibuti. Nonostante la divisione in tre Paesi, la popolazione Afar ha sempre mantenuto una forte identità e solidarietà con i propri membri, oltre che stretti legami politici grazie alla condivisione della comune aspirazione alla riunificazione di tutti i territori popolati da quest’etnia.

La situazione del popolo Afar in Eritrea e Gibuti è addirittura peggiore di quella in Etiopia. Asmara ha attuato sin dall’indipendenza una politica estremamente repressiva per soffocare le rivendicazioni di questi gruppi. Con l’indipendenza dall’Etiopia nel 1993, il territorio dell’Afar Red Sea Coast è stato incorporato all’Eritrea, ma la maggior parte della popolazione di questa regione continua ad esprimere disappunto nei confronti del regime eritreo e sempre più simpatia verso i gruppi dell’opposizione, quali il Red Sea Afar Democratic Organisation (RASDO) e l’Afar Liberation Democratic Movement in Eritrea (ALDME), ben noti per le loro posizioni favorevoli alla causa Afar.

Anche in Gibuti gli Afar hanno subito l’egemonia politica ed economica dell’etnia Issa. La marginalizzazione e l’esclusione dal processo decisionale hanno favorito la formazione di un gruppo di resistenza armata, il Front for the Restauration of Unity and Democracy (FRUD). A seguito dell’accordo di pace del 1994, alcuni membri del FRUD sono stati inseriti nel governo del Paese e fanno ancora parte dell’attuale coalizione, ma la restante parte della popolazione Afar partecipa in misura del tutto marginale alla vita politica ed economica del Paese.

La guerra tra Eritrea e Etiopia del 1998-2000 ha contribuito a rendere ancora più instabili le aree di confine tra i due Paesi, anche a distanza di anni dalla fine del conflitto. Migliaia di famiglie Afar sono state trasferite a causa degli scontri armati ed impossibilitate a riprendere le proprie attività a causa della posa di mine. Vari gruppi armati continuano ad operare in queste aree, appoggiati sia da Asmara, sia da Addis Abeba. Il governo etiope, per esempio, sostiene la propaganda del RSADO nel proprio Paese, mentre l’Eritrea fornisce armi e addestramento a vari gruppi armati senza particolari appartenenze e fidelizzazioni.

La recente uccisione dei cinque turisti europei (due tedeschi, due ungheresi ed un austriaco) ed il rapimento di altri due nella regione dell’Afar è da inquadrare come l’ultimo tentativo da parte dei gruppi dissidenti di risvegliare l’attenzione su molte questioni che da anni attendono una risposta. Ancora una volta le dichiarazioni ufficiali di Addis Abeba hanno fatto esplicito riferimento al coinvolgimento del governo eritreo.
Il Afar Revolutionary Democratic Unity Front (ARDUF) ha rivendicato il rapimento dei due turisti tedeschi e di due soldati etiopi in quest’occasione, ma declina la responsabilità per l’uccisione degli altri turisti. Secondo la versione dell’ARDUF, sarebbero stati i soldati etiopi ad aprire il fuoco e ad attaccare per primi il convoglio dei ribelli.

Le altre aree di crisi in Etiopia: L’Ogaden e l’Oromia

In Etiopia si combattono da anni conflitti su più fronti. Nella regione a maggioranza somala dell’Ogaden Addis Abeba continua a fronteggiare la minaccia dei ribelli del Odagen National Liberation Front (ONLF). Non è ancora chiaro se ed in che misura l’ONLF possa continuare a ricorrere alla lotta armata come principale strumento di pressione su Addis Abeba. Ad ottobre 2011, infatti, il governo etiope ha siglato un accordo di pace con la fazione maggioritaria del ONLF guidata da Sahaladin Mao, ma l’accordo è stato ritenuto “irrilevante” dalla restante parte del gruppo ribelle, il cosiddetto gruppo Osman.

La posta in gioco per il governo del Paese è molto alta nell’Ogaden. E’ assolutamente necessario per Addis Abeba rassicurare gli investitori esteri circa la stabilità della regione e proteggere gli interessi economici dei propri partner. Anche la nota vicenda della condanna dei due giornalisti svedesi, Johann Person e Martin Shibbye, si inserisce in questo contesto ed ha sollevato polemiche circa il presunto tentativo del governo etiope di voler occultare le prove degli abusi ai danni della popolazione dell’Ogaden per favorire alcune compagnie estere operanti nella regione. I media svedesi hanno rivelato che i due inviati si trovavano in Ogaden per effettuare un reportage sulle attività della Africa Oil, una compagnia associata alla svedese Lundin nel cui consiglio di amministrazione sedeva anche Carl Bildt, Ministro degli Affari Esteri del Paese scandinavo. Secondo la versione etiope, invece, i due giornalisti, arrestati a luglio in compagnia di miliziani dell’ONLF nel corso di un incursione delle forze armate di Addis Abeba, sono a tutti gli effetti complici del gruppo terroristico.

Anche per quanto riguarda l’altro gruppo armato indipendentista, il Oromo Liberation Front (OLF), le ultime vicende farebbero pensare all’intenzione di quest’ultimo di abbandonare lotta armata e aprire le consultazioni necessarie con Addis Abeba per concludere pacificamente il conflitto. In un comunicato stampa rilasciato il 30 dicembre 2011, infatti, l’OLF ha dichiarato di aver emendato il proprio programma e di rinunciare alle aspirazioni secessioniste. La nuova agenda politica del movimento, sempre secondo il comunicato stampa, riconoscerà la necessità di collaborare con il governo federale etiope nell’interesse di tutta la popolazione del Paese, non solo della regione Oromo.

Conclusioni

Dopo aver raggiunto importanti risultati sul piano economico e dello sviluppo umano, la nuova sfida che Zenawi dovrà affrontare nei prossimi anni si giocherà sul stabilizzazione interna, attraverso la soluzione delle problematiche di cui si è detto e, soprattutto, sull’avvio di un processo democratico che tenga in maggiore considerazione le richieste delle minoranze. Finora il governo, invece di ascoltare le rivendicazioni delle forze politiche e sociali che esprimono il disagio di alcune aree del Paese, ha cercato di reprimere con la forza il dissenso e addossare la colpa al rivale di sempre, l’Eritrea. La stabilità nello scacchiere regionale dipenderà, quindi, anche dalle scelte di politica interna volte ad attenuare le tensioni nelle varie aree di crisi.

[Nota: l’articolo originale di Vincenzo Gallo è apparso su Equilibri.net e ripreso dietro autorizzazione].

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