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Bolivia: riesplode il conflitto ambientale in Amazzonia

È di pochi giorni fa la notizia di una nuova manifestazione di protesta di indios boliviani dopo quella dello scorso ottobre. Alla base del conflitto il progetto di costruzione del collegamento autostradale che da Manaus, in Brasile, dovrebbe raggiungere la città portuale di Manta nell’Ecuador. Un’autostrada lunga oltre 300 km all’interno del parco naturale Isiboro Sécure (TIPNIS), nell’Amazzonia boliviana in cui vivono circa 50 mila persone appartenenti a 16 differenti comunità indigene.

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La peculiarità della protesta è è che i manifestanti sono schierati a favore della costruzione dell’autostrada. Ripercorrendo le tappe di questa intricata vicenda, nello scorso ottobre un corteo di 2000 indios, partito da Trinidad e diretto alla capitale La Paz, aveva marciato a piedi per 600 km contro la cantierizzazione dell’autostrada. Ci furono violente cariche della polizia contro l’inerme popolazione indigena, colpevole di una strenua resistenza a difesa dei propri territori. La manifestazione divenne il simbolo dell’inganno del presidente Evo Morales, primo indigeno a governare un Paese latino-americano, fautore di una nuova Costituzione e della Legge sulla Madre Terra.

In quell’occasione gli indios riuscirono a ottenere la sospensione dei lavori contestati strappando la promessa di un referendum: le autorità governative condannarono però apertamente il dissenso della popolazione accusando le opposizioni di strumentalizzare la protesta. Questa volta, invece, altre comunità di indigeni, considerate in realtà una minoranza, hanno sfilato lungo le vie di La Paz per ottenere la costruzione dell’autostrada. Secondo molti, i dimostranti, convinti sostenitori del presidente Morales, apparterrebbero soprattutto ai sindacati dei coltivatori di coca, favorevoli al collegamento autostradale considerato strategico per il proprio commercio. Vanno tuttavia segnalate opinioni diverse come quella dell’attivista Federico Fuentes, tradotta dalla rete Tlaxcala, il quale suggerisce diverse trame politiche che portano all’esterno del Paese.

In ogni caso la foresta amazzonica diviene il centro di oscuri intrighi. E non è certamente un caso isolato. L’organizzazione non governativa Greenpeace, nel rapporto ‘Promesse Infrante’ sostiene che

l’80% della deforestazione dell’Amazzonia sarebbe imputabile allo sfruttamento delle industrie che ne destinano centinaia di ettari all’allevamento del bestiame per ricavarne carne e pellame, di cui il Brasile è rispettivamente primo e secondo esportatore al mondo.

Amazzonia ecuadoriana, foto dell'utente Flickr Sara y tzunky su licenza CC

E un ruolo determinante nel progetto dell’autostrada è ricoperto proprio dal Brasile. Negli ultimi anni è aumentato in modo esponenziale il numero delle concessioni alle multinazionali petrolifere, tanto nell’attività di esplorazione quanto nell’attività di estrazione del greggio. L’aspetto paradossale riguarda la scelta delle aree destinate allo sfruttamento: i parchi naturali, teoricamente protetti da una legislazione che ne preserva l’ecosistema in essi contenuto. E nel caso dell’autostrada controversa il metodo utilizzato pare esser il medesimo. Una volta identificato il territorio viene confiscata la terra ai piccoli proprietari (cablocos) i quali vengono risarciti con un indennizzo minimo per l’esproprio subìto. La popolazione autoctona può quindi disporre di immense distese di foresta. Ma questo strano vuoto demografico rende difficoltosa qualsiasi attività di controllo dei residenti, peraltro isolati dalla civiltà. Un singolare meccanismo di tutela della popolazione indigena e dell’ambiente naturale che parrebbe celare una trama occulta ideata per manipolare l’opinione pubblica.

Secondo i dati di WWF Italia, oltre agli interessi delle grandi imprese, soprattutto quelle del legname,

gli incendi sono una pratica pressoché quotidiana e devastante in Amazzonia. I grandi proprietari terrieri (fazendeiros) e migliaia di contadini bruciano la foresta per entrare in possesso di terre coltivabili. Così facendo, il 10% dell’Amazzonia è già stato distrutto dal fuoco. Questo processo di deforestazione potrebbe determinare entro il 2030 l’aumento di anidride carbonica rilasciata nell’aria dai 55.5 ai 96.9 miliardi di tonnellate.

Ancora una volta, gli enormi introiti economici in gioco rischiano di distruggere per sempre un bene di inestimabile valore, sottoposto ad una pressante opera di colonizzazione e sfruttamento. E così, la tutela del patrimonio ambientale si riduce ad un mesto conflitto di interessi egoistici. Una perversa rincorsa al denaro che danneggia per sempre il più ricco contenitore di biodiversità al Mondo.

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