Da mesi gli abitanti del villaggio di Wukan, nella ricca provincia del Guangdong, motore dello sviluppo cinese, si erano sollevati contro le irregolarità nella requisizione delle terre e i disordini erano precipitati con la morte in carcere di uno dei leader della protesta, ufficialmente per problemi di salute.
Per giorni il villaggio che si era dato una forma di autogoverno, costringendo alla fuga i locali quadri del Partito, è stato circondato dalla polizia che impediva l’arrivo dei rifornimenti e del cibo. Mercoledì 21 dicembre scorso, l’incontro tra i funzionari e rivoltosi si è risolto con una quasi vittoria per i secondi che hanno ottenuto la scarcerazione dei fermati per le proteste. Prima che il compromesso fosse raggiunto China Files ne ha parlato con il professor Jean-Philippe Béja direttore di ricerca al Centre National del la Recherche Scientifique – Centre d’Etudes et de Recherches Internationales (CNRS-CERI) di Parigi.
Sinologo di fama internazionale, Béja era a Roma per una conferenza sulla Primavera araba e la situazione in Cina, nell’ambito del dottorato di ricerca in Civiltà, culture e società dell’Asia e dell’Africa, presso l’Università di Roma-La Sapienza.
Professor Béja, il villaggio di Wukan ha attirato l’attenzione internazionale, soprattutto per i metodi adottati dai manifestanti con l’elezione di propri rappresentanti. Alcuni osservatori, ad esempio il quotidiano di Hong Kong Mingpao si sono spinti fino a tracciare un parallelo con la Pechino del 1989. Che idea si è fatto della situazione?
Più che il movimento del 1989, la protesta ricorda gli scontri , sempre nella provincia del Guangdong, nel 2006. Anche allora i cittadini si sollevarono contro gli abusi dei capi villaggio e dei funzionari locali.
Se analizziamo il caso di Wukan, le prime proteste contro le requisizioni delle terre a settembre furono autorizzate dal governo locale di Lufeng. Ciò che intimorì i funzionari furono le dimensioni della manifestazione. Poi dopo gli arresti e la morte in carcere di Xue Jinbo le dimostrazioni sono riprese. Il caso delle elezioni, per quanto possa sembrare distante dai canoni cinesi, è invece comune a scontri di questo tipo. L’attenzione della stampa internazionale ha infine trasformato l’incidente in un problema d’immagine per il governo del Guangdong.
Tanto da accendere i riflettori su un’altra protesta a Haimen, appena 100 chilometri da Wukan, contro una centrale elettrica cui la polizia avrebbe risposto con estrema violenza. Recentemente il blogger Michael Anti ha enfatizzato il ruolo che la difesa dell’ambiente può giocare nelle proteste in Cina. È veramente così?
Il degrado ambientale è un problema vero. Per questo il governo centrale cerca di bloccare i progetti più devastanti decisi dalle amministrazioni locali.
Se prendiamo a esempio la protesta di Dalian [dove decine di migliaia di manifestanti ottennero la chiusura di una fabbrica che produceva paraxilene, materiale usato per fabbricare bottiglie di plastica e poliestere ndr] vediamo che il malcontento coinvolge la classe media. Questo tema e le proteste a esso connesso nelle città hanno fortuna perché coinvolgono i vincitori delle riforme, contro cui è più difficile usare le maniere forti. Anche perché non mettono in questione il potere dei governi locali. Contro i contadini invece le autorità non tengono lo stesso atteggiamento. Basti pensare alle migliaia di casi di intossicazione da piombo cadute nel dimenticatoio.
Prima si è parlato del 1989. Esiste un ricordo di quel movimento tra la gente comune, tra chi aveva vent’anni all’epoca, e non può dimenticare?
Gli attivisti del movimento degli avvocati, il cosiddetto weiquan, che all’epoca avevano più o meno dieci anni, ricordano quel periodo e lo conoscono. Hanno tuttavia fatto lezione del fallimento. Dunque hanno deciso di lanciarsi nel weiquan. Non attaccano frontalmente il potere, ma cercano risultati concreti. Non sono dissidenti e mirano a far rispettare le leggi. Chi viveva nelle città ha un ricordo ben chiaro di quanto successe. Le opinioni al riguardo divergono. Per molti fu un periodo di caos e disordine. Per altri un momento di libertà da rimpiangere. Soprattutto tra chi è stato attivista resta tuttavia il ricordo della repressione. Bisogna evitare che questa si possa ripetere.
La sua conferenza aveva come tema la Cina e la Primavera araba. Che influenza ha avuto sulla Cina?
Se la si guarda con gli occhi della dirigenza, il rischio che manifestazioni ispirate alle rivolte in Medio Oriente potessero esplodere anche in Cina era serio. Le tensioni sociali ci sono e possono sfociare in proteste più larghe, anche se è molto difficile. Personalmente ritengo eccessiva la fermezza tenuta dal governo. Ma forse loro hanno in mano informazioni che io ignoro.
[ Articolo di Andrea Pira, ripreso da China Files ]