Africa: culla dell’umanità o discarica dell’Occidente?

Nel corso degli anni Novanta, in Europa, la gestione dei rifiuti è stata sempre più regolamentata; l’Occidente consuma e non riesce più a smaltire i propri rifiuti. La soluzione adottata da molte aziende occidentali è quella di sbarazzarsi degli scarti inviandoli nei Paesi in cui il trattamento dei rifiuti è molto più economico (soprattutto quando non esiste alcun trattamento e i rifiuti non sono monitorizzati o vengono semplicemente interrati). I Paesi colpiti da povertà e corruzione sono meno esigenti rispetto ai rischi per l’ambiente e la salute perché hanno altre priorità. Le multinazionali si preoccupano più delle loro finanze che dell’ambiente o addirittura della vita di tanti uomini e donne che vivono nei quei Paesi; inquinano consapevolmente la natura, senza vergognarsi delle conseguenze.

Da culla dell’umanità, l’Africa sta diventando la spazzatura dell’Occidente? I rifiuti pericolosi sono sempre più una questione di relazioni internazionali, in particolare tra il Nord sviluppato e i Paesi in via di sviluppo nel Sud del mondo, essendo il prezzo del trattamento dei rifiuti troppo elevato nelle nazioni di origine.

Una delle più recenti testimonianze di questo problema ambientale è un documentario apparso su Arté girato nel marzo 2009 da Paul Moreira, il quale è riuscito a scavare nello scandalo dei rifiuti tossici in Somalia. Il giornalista ha indagato in uno dei Paesi più pericolosi al mondo, rischiando molto. E’ riuscito a stabilire l’esistenza di un traffico di rifiuti orchestrato da industriali italiani. Nel 2005, pochi giorni dopo lo tsunami che devasta le coste thailandesi, i somali, dall’altra parte dell’Oceano Indiano, vedono arrivare alcuni strani fusti sulle loro spiagge. Un’ONG locale lancia l’allarme e segnala morti sospette ed epidemie insolite tra la popolazione costiera nei giorni successivi. Le indagini lo proveranno: i fusti tossici provengono dalle scorte scaricate al largo della Somalia da parte delle navi che operano nei Paesi occidentali, soprattutto europei. Alla domanda: “dove nasce l’idea per l’indagine sui rifiuti tossici in Somalia?”, Paul Moreira risponde:

Dieci anni fa nello show 90 minuti su Canal+: mi interessava l’assassinio della giornalista italiana Ilaria Alpi, avvenuto nel 1994 in Somalia. Al momento della sua morte stava indagando sul traffico di armi e rifiuti tossici tra il suo paese e la Somalia. Non siamo stati in grado di dare più informazioni sull’argomento perché la Somalia era già allora un Paese molto pericoloso. Ero rimasto frustrato e con il desiderio di recarmi un giorno sul terreno per indagare su questa storia. Le prove video della presenza di rifiuti tossici sulla costa somala non esistevano. Eppure, su Al-Jazeera ho visto interviste con i pirati somali che accusavano l’Occidente di scaricare i rifiuti, distruggendo la flora e la fauna, dicevano, e provocando gravi infezioni agli abitanti delle coste: era la verità o un modo per giustificare i loro atti di pirateria? L’unico modo per saperlo è stato andare lì.

Per concludere, Paul Moreira constata che “il problema dei rifiuti in Italia sembra così irrisolvibile che il fatto di andare a scaricare i rifiuti tossici in Africa sembra la cosa migliore”. Il film è stato trasmesso il 24 maggio 2011 sul canale televisivo Arté Francia e Germania, durante una serata tematica sulla Somalia.

Carta dei rifiuti tossici e radioattivi in Somalia, Somacent 2010

Nonostante la mancanza di strutture adeguate per il trattamento dei rifiuti pericolosi, molti Paesi africani (Benin, Congo Brazzaville, Gibuti, Guinea Bissau, Guinea Equatoriale, Mozambico, Nigeria, Togo, Somalia e altri) importano navi cariche di rifiuti tossici (fanghi industriali, cianuro, solventi, vernici, pesticidi, rifiuti farmaceutici) e persino nucleari (nel caso della Somalia) a costi di smaltimento molto bassi: da 2,5 a 40 dollari per tonnellata contro i 75 / 300 dollari (e oltre) nei Paesi industrializzati. Ironia della sorte, questi rifiuti sono stati a volte confezionati in fusti marcati “concime” o “aiuti umanitari” in modo da non attirare la curiosità delle autorità portuali dei Paesi ospitanti. Greenpeace stima la cifra di 167 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi che hanno trovato una seconda casa in Africa prima del 1986. In Italia, il traffico illegale di rifiuti negli anni ‘80 è diventata la seconda attività delle organizzazioni criminali, subito dopo la droga. Un mercato di 100 milioni di euro l’anno. In Francia, una filiale di Arcelor Mittal è sospettata di aver riciclato milioni di tonnellate di rifiuti tossici (in forma di nave cisterna di carburante) tra il 1993 e il 2004 (La Voix du Nord, 17 settembre 2008) ma nessuna prova formale è ancora stata trovata.

In 100 anni d’industrializzazione, l’uomo ha distrutto lo strato di ozono accumulatosi durante milioni di anni di vita sulla Terra senza tenere conto di chi ci vive oggi o delle generazioni future: ecco la crudeltà dell’uomo cosiddetto “industrializzato” di oggi. L’Africa è una vittima di tutti i mali: l’AIDS, la fame, la guerra, la malaria. Diventerà anche la pattumiera dei rifiuti tossici dell’Occidente?
Il costo di questo inquinamento (sostenuto dalla comunità) deve essere preso in considerazione da chi inquina, incorporandolo tra i costi economici connessi alla sua produzione (costi privati e costi esterni). In Africa, ancora oggi, i rifiuti domestici vengono raccolti solo in alcune zone residenziali delle grandi città. Nel resto del Paese, l’immondizia viene depositata lungo le strade, nei siti illegali, scaricata nelle fogne o sepolta in discariche a cielo aperto. Queste zone di discarica diventano dopo qualche settimana campi da gioco per bambini e zone in cui gli artisti recuperano oggetti utili a realizzare le loro opere ed esposizioni.

Rifiuti tossici - vignetta di Benjamin Kouadio su sua gentile concessione.

Riciclare i rifiuti è soprattutto una scelta politica per dare sostegno e rivitalizzate le scelte sociali: la valutazione è quella di ridare valore ai rifiuti. Il “recupero dei rifiuti” avviene attraverso tecniche quali il riciclaggio, compostaggio, ecc. Oggi i Paesi africani, come tutti gli altri Paesi in via di sviluppo, hanno bisogno di strutture in grado di produrre per esempio il biogas, per pulire l’ambiente, per ridare vita.

Migliorare la gestione dei rifiuti nelle città del sud richiede anche l’adozione di normative fiscali rivolte alle aziende grandi produttrici di rifiuti. È vero che le barriere tecniche nel campo della gestione dei rifiuti sono molte. Queste includono, tra l’altro: inadeguato utilizzo o sotto-utilizzo del personale tecnico a disposizione dei Comuni, mancanza di dati precisi sui rifiuti domestici a livello comunale, mancanza di comunicazione tra gli attori, siano essi pubblici o privati, mancanza di responsabilità politica a livello istituzionale. Inoltre, c’è il problema della coerenza dei percorsi nelle filiere, come afferma Ta Thu Thy, “risolvere il problema della raccolta senza risolvere quelli di trasporto, smaltimento e recupero dei rifiuti pone inevitabilmente il problema di percorsi di coerenza nelle filiere”.

Ciò che è sicuro è che l’ambiente in qualunque posto del mondo non è negoziabile, la vita umana, degli animali, degli alberi … non ha prezzo; nessuno, per quanto sia ricco, ha diritto di togliercela e nessuno è così povero da non meritare di vivere ed essere in comunione perfetta con il suo ambiente. La questione ambientale riguarda tutti: siamo chiamati, ognuno di noi, grandi o piccoli, ricchi o poveri, a una responsabilità senza precedenti nel nostro milieu di vita (casa, famiglia, lavoro strada…), a una presa di coscienza per la costruzione di un mondo pulito che tenga conto di ieri, d’oggi e di domani.

[Il post è un estratto dall’articolo più ampio scritto da Justin Magloire Mbouna per il catalogo del Festival cinematografico Immaginafrica 2011.]

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