[Nota: Pubblicato dall’autrice in esclusiva su L’Indro e ripreso per gentile concessione]
Ricordate quando si cantava “Mettete dei fiori nei vostri cannoni”? La poesia è anch’essa un modo per raccontare guerre e rivolte. Un sentimento pacifico che può avere effetti dirompenti.
E in questi mesi l’espressione poetica è servita anche a dare spinta e coraggio al movimento di protesta anticipato in Tunisia e diffuso ora un po’ dovunque. Anche in Europa con il United for Global Change Movement, dopo le manifestazioni del 15 ottobre già pronto ad organizzarne altre per il 29 ottobre. Appuntamenti della gente comune, che anticipano il G20 dei grandi ospitato quest’anno a Cannes.
Ma torniamo alla poesia. Sulla scia del Poetry slam, progetto partito in Nord America, che consiste nel leggere poesie e opere di altri o recitarne di proprie, anche nel mondo arabo e africano, si è diffusa la tendenza alla condivisione (stavolta in Rete) delle emozioni.
Questa è tratta da UniverSlam di King Bobo. ‘Liberté chérie j’écris ton nom‘ (Cara libertà, scrivo il tuo nome)
“Cara libertà scrivo il tuo nome.
Ascoltate il vento della libertà che soffia in tutte le lingue
I giovani tunisini scrivono sui muri
e dipingono slogan
Libertà, libertà, libertà
I giovani egiziani incidono sulle tombe
geroglifici moderni inscritti per il futuro
I giovani siriani non vedono che proiettili vaganti
che rimbalzato dappertutto e lasciano tracce sui muri
I poeti libici a Bengasi sussurrano poemi satirici come caricature”
Il teatro, la musica e la poesia possono servire a parlare di cose orribili e dolorose come la questione dei bambini soldato. Lo ha fatto Abd al Malik, rapper e poeta cresciuto a Brazzaville e co-fondatore del gruppo ’New African Poets’.
“Soldatino di piombo, soldatino di piombo, naturalmente un sorriso ci avrebbe fatto più piacere. Un po’ più di attenzione e forse le cose sarebbero andate diversamente. Avremmo potuto essere bambini normali invece che bambini soldato“, canta Abd al Malik.
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Fodil Belhadj, esule, poeta e blogger su Regards Africains (Sguardi africani) ha scelto invece il teatro per raccontare la promessa dell’Algeria indipendente. Che invece è stata ’dannata’ da dieci anni di guerra civile.
[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=YpjwQ4T484c&feature=player_embedded[/youtube]
E, rivolgendosi all’esercito algerino, ha scritto: “[…] Si chiama autodeterminazione, caro esercito algerino. […] Dovresti saperlo che democrazia significa accettare il risultato delle urne“.
Ma torniamo ad oggi. In Marocco si va estendendo il Movimento 20 febbraio, che dà voce alla voglia di cambiamento. Su Mamfakinch scrivono: “Siamo giovani e in grado di innovare! Per non banalizzare le nostre forme di protesta e poichè i giovani sono stanchi dei soliti sit-in, abbiamo deciso di diversificarci. Faremo flash mob, più precisamente freeze mob, un piccolo concerto e sessioni di poesia“.
Ecco il risultato di un evento di qualche mese fa:
[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=fxR7dkocjec&feature=player_detailpage#t=2s[/youtube]
C’è bisogno di poesia anche in Libia oggi, anche se la dolcezza delle parole non può cambiare la durezza delle cose raccontate. Questo scrive Starlit nel suo diario, “Ho vissuto cose che non avrei mai immaginato“. E questo un giovane che si firma cittadino di Bengasi:
“Ho chiuso gli occhi e ho visto gente ammazzata…
Ho visto il volto stanco di mia madre…
L’espressione scioccata di mia sorella…
La rabbia negli occhi di mio fratello…
La determinazione in quelli di mio padre…
E ho visto le facce di coloro che sono passati nella mia vita…
I miei amici… alcuni non torneranno.“