L’ingenuità creativa degli africani, via al ‘Maker Faire’
Non solo guerre, carestie e corruzione. L’Africa è altro, nonostante questo non appaia sui media. L’Africa è creatività e innovazione, anche se questo termine contrasta con l’immagine di arretratezza e bisogno a cui i soliti articoli, reportage e cronache ci hanno abituato. Da tre anni il Maker Faire Africa ha spalancato una finestra sulle enormi potenzialità del continente in termini di inventiva e capacità tecniche.
L’approccio di questi “creativi” è molto ben sintetizzato da AfriGadget, sito di invenzioni diviso in categorie ed eventi: “risolvere i problemi di tutti i giorni con l’ingegnosità africana“. Ingenuity significa ingegnosità ma spesso viene semplicisticamente tradotto “ingenuità”. Quest’ultimo sembrerebbe un termine riduttivo e naif ma in realtà rende l’idea di persone e menti non “inquinate” dalla presunzione che le soluzioni siano già tutte bell è pronte e solo da acquistare – a caro prezzo – in qualche negozio né dalla speranza che prima o poi qualcun altro – magari una ONG occidentale – ci penserà.
E così si rimane stupiti dalle tante idee, capacità ed espedienti che le persone possono elaborare con pochi mezzi e a volte scarse conoscenze scientifiche, ampiamente sostituite dall’esperienza. Da semplici giocattoli in materiale riciclato alle custodie per cellulari e portatili in bambù, da sistemi di raffreddamento per il latte di cammello ad un aereo realizzato con materiale di scarto, perfettamente in grado di volare. E poi convertitori di biogas in grado di produrre elettricità, cucine solari, innovazioni nei sistemi agricoli, imbarcazioni realizzate con bottiglie di plastica e blogger che anziché usare Internet, laddove manca il collegamento usano… lavagna e gessetto.
L’idea è venuta ad Alfred Sirleaf che sul suo “The daily talk” trasmette notizie – compresi i costi della benzina o il tasso dei cambi – piazzando la sua lavagna a Tubman Boulevard, centro di Monrovia, capitale della Liberia, a vantaggio di coloro che non possono neanche consentirsi l’acquisto di un giornale. E per le notizie più “locali” si serve del cellulare e degli amici sparsi qua e là sul territorio.
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È incredibile quanto la necessità possa stimolare l’ingegno, ma quello che è più incredibile è quanto poco si sappia di tutte queste energie e capacità che l’Africa può offrire. Eventi come il Maker Faire sono nati proprio per questo: portare alla luce queste realtà nascoste e offrire un’opportunità ai tantissimi inventori – uomini e donne, ma anche tanti ragazzi – che vivono sparsi nei villaggi o nelle grandi metropoli di questo continente.
Il prossimo appuntamento sarà al Cairo, in Egitto, dal 6 all’8 ottobre. Probabilmente una scelta non dettata dal caso, ma che si richiama al ruolo che il Paese ha ricoperto qualche mese fa in termini di rinnovamento politico e sociale. Tre giorni di incontri che sicuramente non basteranno. In programma workshop, dimostrazioni pratiche, esperimenti, competizioni e tante novità. Un incubatore per ingegneri, artisti, designer, imprenditori, ma soprattutto per inventori liberi e creativi che utilizzano ciò che hanno a disposizione per il proprio e altrui beneficio.
Una delle sezioni più interessanti è appunto quella che riguarda l’uso e il riuso di materiali riciclati. Perché, mentre l’Occidente e le sue grandi aziende usano il territorio africano come pattumiera, c’è chi sulla pattumiera ci vive e tenta di ricavarne un vantaggio. Una bella lezione allo spreco e alla malvagità di altri. Proprio il Ghana infatti ha ospitato il primo Maker Faire Africa nel 2009 e dal 5 al 7 agosto scorso a Kumasi si è tenuto un mini Maker Faire nell’ambito dell’International development design summit.
Fece scalpore, ma nemmeno più di tanto, la notizia diffusa da Greenpeace nell’agosto del 2008 che portò alla luce la vergogna di Agbogbloshie, un’area intorno ad Accra dove aziende europee, giapponesi e americane rilasciano i loro rifiuti elettronici. Il rapporto dell’Organizzazione dal titolo “Ghana contamination – pericolo chimico nei siti di riciclo e smaltimento dei rifiuti elettronici” denunciò il flusso dei raee (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) che dai Paesi occidentali vengono appunto spediti in quelli del terzo mondo.
Una notizia che lasciò indifferenti molti ma spinse qualcuno all’azione. Una delle iniziative è stato il progetto Igarbage. In questa sintesi è possibile capire quanto sia grave il problema e quanto alto il grado di impunità di Paesi che spediscono materiale con la dicitura “di seconda mano”, e quindi riacquistabile, quando in realtà di tratta di materiale da buttare via e questo dovrebbe essere fatto seguendo specifiche e legali procedure.
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L’Africa sta offrendo il suo contributo in molti campi compreso quello della telefonia mobile e il suo utilizzo in vari ambiti. Basti pensare alla piattaforma Ushaidi e altre iniziative similari, che hanno cominciato ad operare con il semplice uso del cellulare e degli SMS e oggi hanno fatto scuola e sono utilizzate in tutto il mondo. La capacità di innovazione nel campo della tecnologia è stata rapidissima e ha dato vita, in questi ultimi anni, ad iniziative di spessore. Come Afrilabs, laboratorio formato da tecnici, aziende, programmatori, piccoli investitori. Organizzazione di persone e idee che cercano di costruire e realizzare lo sviluppo tecnologico dell’Africa, favorendo nel contempo occasioni di lavoro.
La strada non è semplice e spesso il pessimismo prevale sullo sforzo di tanti. In questo articolo la risposta alla domanda: “Perché dall’Africa non nasceranno mai progetti come Facebook, Goupon, Zynga o Google?” è: abbiamo tecnici in gamba e dotati di idee e capacità di realizzarle ma quello che manca sono investitori in grado di credere davvero in questi progetti e metterci i soldi e il nome. Chissà, forse se qualcuno di loro visitasse il prossimo Maker Faire al Cairo potrebbe trarne ispirazione e decidere di mettere sul mercato qualcuna delle invenzioni che saranno presentate.