Il Web non sa cosa sia la privacy. Inutile illudersi e immaginarsi chissà quali scappatoie. Diciamo la verità, una volta aperto un semplice account di posta elettronica o, passo ulteriore, cominciato a usare qualcuno dei tanti social network oggi a disposizione, allora è fatta. Abbiamo abdicato, dunque volontariamente rinunciato, alla nostra identità. È come lasciare porte e finestre di casa aperte anche quando non siamo in casa.
Il web è come per i segreti, se non vuoi che si sappiano non devi raccontarli a nessuno. Altrimenti prima o poi saltano fuori. Così è per tutto quello che condividiamo in Rete. E il problema non è soltanto quello del furto dell’identità per cui ci si affanna a dare ormai i ben noti consigli. Il fatto è che aziende, provider, imprese, pur non arrivando a rubarci l’identità ne fanno uso per allargare la loro clientela. Avete mai fatto caso a quanti annunci produce Google per ogni mail che inviamo o riceviamo? Il segreto banalissimo, si sa, sono le parole chiave.
La stessa cosa fa Facebook, con un Zuckerberg che a 27 anni non si accontenta di essere uno degli uomini più ricchi del pianeta ma ha trovato una strada ancora più redditizia, quella appunto della pubblicità sul social network. Un sistema che, naturalmente sfrutta tutte le informazioni: età, sesso, interessi, gusti, etc. etc. che gli abbiamo volontariamente fornito. Insomma, mentre ci divertiamo a cliccare su “commenta” o “mi piace” ci trasformiamo in brand e messi sul mercato telematico.
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È chiaro che il confine tra pubblico e privato è ormai inesistente, e cosa ci accade come essere umani in contatto grazie alla tastiera più che alla parola, provano oggi a spiegarlo riflessioni di ogni tipo. Anche la psicologia
la rete ha creato un mondo a parte, uno spazio alternativo in cui ognuno di noi si incontra con altre persone, spesso ignote fino a un attimo prima. La mente del ventesimo secolo era preparata a un evento del genere? La risposta è no, soprattutto se si tratta di ragazzi e giovani.
Oppure c’è chi azzarda un’Anatomia dei social network. Una lezione pienamente assimilata da chi con il “corpo” e il funzionamento della Rete ha una certa confidenza.
La questione, in ogni caso, è abbastanza seria e visto che comunque non faremo a meno dei social network almeno vale la pena essere un po’ più consapevoli di quello che facciamo. C’è chi sostiene che, in ogni caso, la Rete è oggi un grande vantaggio al di là dei rischi di assottigliamento della comunicazione e di divenire oggetti per nuovi consumi. Un vantaggio perché in qualche modo attiva il proprio diritto alla libertà, come afferma in questa intervista, Jean-Marc Manach, giornalista specializzato in questioni di vita privata e libertà digitale.
Guardiamo alle polemiche sorte intorno alle questioni di vita privata su Internet. Quello che colpisce è che a puntare il dito sul problema della privacy in Internet siano i soggetti maggiormente interessati a “regolare” la Rete. Mi riferisco in particolare a certi politici. Ora, la nozione di “regolamento di Internet” di solito è chiamata in causa per scoraggiare le persone a esprimesi, a condividere video e informazioni. Io invece credo che, al contrario, abbiamo tutto l’interesse ad andare su Internet e a condurvi una “vita pubblica” perché questo contribuisce alla costituzione di un’identità digitale e di un “soggetto sociale” che in qualche modo partecipa alla vita della polis.
Detto altrimenati: se oggi considerassimo quello che succede su Internet come se fosse solo una questione di vita privata, la sola soluzione sarebbe quella di mettersi un burqa digitale. Sarebbe una totale aberrazione perché in una democrazia è inaccettabile che l’unico modo per proteggere le libertà dei cittadini sia nascondersi.
Il giornalista francese però aggiunge:
Certo, quello che ho detto non significa che non ci siano problemi legati alla privacy in Internet. […] Io sinceramente vedo con preoccupazione il fatto che le amministrazioni pubbliche abbiano la possibilità di accedere a dati personali per “sorvegliare” la gente. In Francia, dal 2001, tutto quello che facciamo su Internet deve essere conservato dagli Internet provider per un anno. Dopo l’11 settembre, quando si è iniziato a dire che i terroristi avevano comunicato via Internet -cosa solo parzialmente vera- qualcuno ha approfittato di questa “finestra” per promuovere un crescente controllo su Internet.
Nessuno finora, a quanto ne sappiamo, ha fatto ricerche sui musulmani o sui musulmani che avevano letto libri che avevano a che fare con Bin Laden… ma non sappiamo cosa può succedere in futuro. Quello che sappiamo è che ci sono sempre più dati personali in possesso delle amministrazioni. Negli Usa, i servizi segreti non hanno il diritto di spiare i cittadini americani e quindi, per sopperire, passano attraverso società private. Ci sono stati casi in cui le autorità hanno chiesto la lista di tutti quelli che avevano preso in prestito il Corano e altri libri considerati sovversivi nelle biblioteche.
Ecco perché dico che mi preoccupano più le amministrazioni che il mondo pubblicitario.
Chi comunque sembra non aver paura del pubblico e di aprire il proprio mondo privato, sono proprio gli esponenti politici. La foto del presidente Barack Obama, con moglie e figlie seduti nella “Treaty room” a guardare una partita di calcio ci fa proprio immaginare di essere lì. La foto è stata pubblicata sul blog della Casa Bianca, tra post che parlano di politica estera, economia e politica internazionale.
Ma sono i presidenti degli Stati latino americani che stanno dimostrando un’affezione particolare per i social media, in particolare per Twitter. C’è chi, come il presidente dell’Argentina, Cristina Fernández, lo usa per far sapere che è diventata nonna, chi, come il presidente venezuelano Hugo Chavez, per congratularsi con la collega e chi, come il presidente panamense, Ricardo Martinelli per inscenare un botta e risposta di insulti con un cittadino.
Sì, il confine tra pubblico e privato è ormai superato da tempo.
Perché assimili direttamente “identità” e “privacy”? (mi riferisco al tuo incipit, quando osservi con tono sconsolato che quando apriamo un sn “allora è fatta”, “abbiamo abdicato … alla nostra identità”)
Non sono una teorica della trasparenza totale, e penso che ciascuno abbia il suo punto di equilibrio ideale fra i due estremi di “publicness” e “privacy”, ma penso che la costruzione delle propria rappresentazione riguardi non solo la comunicazione in rete, ma ogni forma di comunicazione (anche quando ci raccontiamo verbalmente agli amici scegliamo cosa dire e non dire). La questione semmai è di averne consapevolezza, e regolarsi di conseguenza
Cara Alessandra, la mia frase voleva significare identità come nome e cognome, ma anche identità come realtà personale di ognuno di noi. Quella fatta di storia, esperienza, sentimenti etc. Penso che se si voglia “ricostruire” questa identità attraverso i dati che disseminiamo in Rete (e se c’è qualcuno che ha voglia e interesse a farlo) non possiamo negare che questo sia possibile. D’altra parte, è chiaro che se voglio conservare quello che credo sia da preservare allora faccio come con gli amici, “seleziono” le parole e le cose da raccontare. D’accordo con te sull’equilibrio ideale tra i due estremi, “pubblicness” e “privacy” ma non sono convinta che (come nelle cose della vita) questo equilibrio sia alla portata di tutti. Qualche volta, come quando si è ubriachi, in Rete si straparla. Ma quando ci si pente, in questo caso nulla va dimenticato. Rimane tutto in archivio.
la questione mi sembra piu’ ampia (anche se non so quanto c’entri con le voci globali 😉 – la definizione (o la negazione) del confine tra pubblico e privato riguarda l’intera nostra esistenza contemporanea, non solo l’ambito online o i social network; quando si paga al supermercato con la carta di credito o si usa il veloxpass in autostrada, o mille altri esempi quotidiani non ci mettiamo forse a nudo in tutti i sensi? e che dire dei cellulari che segnalano ogni ns. movimento a ogni istante? e ancora: chi ci dice che siano veramente chavez, martinelli e altri “presidenti” a usare davvero twitter? e non piuttosto semplici impiegati dei loro uffici, o, peggio, impostori vari? e il fatto che la rete e le tecnologie odierne “non dimenticano”, appunto, andrebbe preso come incitamento a essere piu’ prudenti e consapevoli in senso generale (giusto, alessandra), sulla viata propria e altrui, sul senso e sui sentimenti di tutti — “attenzione cosciente” o “here&now”, come si diceva una volta….
Assolutamente d’accordo, la questione è assai più ampia, ma non era questo il luogo per allargare il discorso. Poi, è chiaro che siamo tutti abbastanza “sgamati” da sapere che se leggiamo gli “entusiasmi” di Chazev, alla tastiera potrebbe esserci il suo staff. E anche per sapere che con il nostro cellulare siamo costantemente geolocalizzati.
Per il resto val sempre la pena, per quanto mi riguarda, di usare anche un po’ d’ironia, visto che non abbiamo intenzione di scrivere dei saggi. Si spera che comunque l’esca lanciata apra la riflessione e stimoli alla consapevolezza. Grazie per i feedback.