La tecnologia contro l’omofobia
[Nota: Pubblicato dall’autrice in esclusiva su L’Indro e qui ripubblicato per gentile concessione]
Outing in Rete. Con l’intento di svelare, non l’orientamento sessuale (omosessuale) di personaggi noti, come avveniva fino a non pochi anni fa, ma i soprusi che molti gay, lesbiche e trans ancora subiscono in ogni angolo del mondo. Perchè, come ha scritto Arsham Parsi, “Internet è per noi un grande regalo“. Un mezzo attraverso il quale combattere la propria personale battaglia ma anche quella collettiva per il riconoscimento della propria identità e il diritto a vivere senza paura e discriminazioni.
Arsham Parsi ha fondato qualche anno fa la Iranian Queer Organisation, con sede – per ovvie ragioni – in Canada. Una presa di coscienza e un’iniziativa che hanno aiutato altri nel suo Paese a farsi protagonisti attivi del cambiamento. Così, lo scorso mese di maggio, in tanti hanno partecipato alla Giornata Internazionale contro l’Omofobia. Anzi hanno fatto di più, lanciando su blog, Twitter e Facebook la Campagna ’We are everywhere’.
Essere ovunque non equivale però ad avere ovunque gli stessi diritti. Ci sono luoghi in cui la strada è molto più ardua. I Paesi africani sono tra questi. Ricordate la campagna mediatica messa in piedi lo scorso anno dall’ugandese ’Rolling Stone’? Il tabloid pubblicò i nomi e gli indirizzi di 100 uomini e donne sospettati di omosessualità. Il titolo, a tutta pagina, era ’Hang them’, impiccateli. La cosa provocò forti proteste da parte delle organizzazioni e attivisti per i diritti umani, ma – soprattutto – scatenò la furia di quanti avevano preso come un obbligo morale l’invito rivolto dal ’Rolling Stone’. In quei giorni si scatenò una vera e propria caccia all’uomo. Pestaggi, gente minacciata in casa propria, fino all’uccisione dell’attivista dei diritti dei gay, David Kato.
Il caso dell’Uganda ha fatto particolarmente scalpore, anche perché c’è stato il rischio che passasse una legge che prevedeva la pena di morte per chi fosse ritenuto “colpevole” di omosessualità. Una legge per il momento archiviata, anche grazie alle azioni di contrasto e alle reazioni delle organizzazioni per i diritti umani e della comunità internazionale.
Laddove il machismo è più forte e fare figli è una sorta di obbligo sociale e morale per le donne ma anche per gli uomini, l’omosessualità è considerata, appunto, un crimine. Come in Ghana, dove esiste una legge che penalizza i rapporti sessuali con lo stesso sesso. Ma solo nel caso dei maschi. Tanto è vero che la pratica ’Supi’ – una forma accettata (o ignorata per convenienza), di relazione lesbica che si manifesta nei collegi tra le ragazze più grandi e le giovani “matricole” – è stata oggetto di studi, ricerche e progetti.
Ma non sono certo le leggi a cambiare le attitudini e i “desideri”. Tanto è vero che in questi giorni la Rete offre spazio al dibattito relativo alla crescente presenza dei gay nel Paese (o forse semplicemente uscita allo scoperto).
Non è dato calcolare quanto lo scambio di idee su tale tema sui social network abbia favorito il percorso in atto nel Paese. Percorso che pare possa portare alla depenalizzazione dell’omosessualità . Non c’è dubbio però che abbattere il tabù – almeno parlandone senza confini, così come Internet consente – abbia contribuito ad aprire le menti e ad affrontare la paura.
Va registrato, in questo senso, il coraggio di quanti, nel giorno del Mosca Pride 2011 sono scesi in piazza. Molti sono stati arrestati ma tale reazione da parte della polizia non ha fatto altro che stimolare gli attivisti della Rete e semplici cittadini a scambiarsi notizie, le loro storie personali e anche qualche foto della manifestazione a Gorky Park.
Sicuramente i social media contribuiscono a portare allo scoperto storie e situazioni che altrimenti sarebbero inaccessibili. Come, tanto per citare un esempio, le discriminazioni subite dal mondo LGBT in Armenia e, in genere, nell’area del Caucaso. Secondo quanto testimonia anche uno Studio recentemente condotto e pubblicato dal Consiglio d’Europa. Notizie che, al di là dei blog e strumenti di questo genere, è quasi impossibile trovare.
Alcune “prove” di tentativi di cambiamento di rotta arrivano da Organi internazionali. Come l’Unione Europea che ha concesso un fondo pari a 300 mila euro per un “Progetto di assistenza e supervisione per le minoranze sessuali” avviato in Camerun da Alice Nkom, avvocato e attivista per i diritti dei gay, che per la sua attività ha più volte subito ritorsioni e rischiato l’arresto. Un’iniziativa accolta davvero male in un Paese che – come altri appunto – prevede la prigione per gay e lesbiche. Dalla reazione ufficiale del Governo, che ha convocato l’ambasciatore dell’Unione europea per esprimere il proprio dissenso a tale iniziativa, a quelle della stampa locale.
Il Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu, invece, il 17 giugno scorso, ha votato una Risoluzione che esprime “grave preoccupazione per le violenze e discriminazioni subite da molti a causa dell’orientamento sessuale e l’identità di genere“. Una Risoluzione votata anche da Cuba. Decisione commentata a caldo sulla Rete così.
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Internet è per noi un grande regalo“, ha detto l’attivista iraniano Arsham Parsi. Certo, con tutti i vari siti nati per favorire gli incontri, può essere anche un modo per trovare amici o partner con meno difficoltà, come si fa notare anche in questo post ’Gay in Sri Lanka’.
“Un modo per non sentirsi soli. Ma questo aspetto – si legge nel post – è solo un’illusione. Facebook può dare solo l’impressione di avere più amici”. Concordiamo con chi scrive, ma solo se lo scopo è farsiamicizie “sentimentali”. Se lo scopo è invece lavorare per un obiettivo più ampio, come il riconoscimento dei propri e degli altrui diritti, allora non siamo più d’accordo. Non sentirsi soli in questa battaglia, per questo sì che vale la pena usare i social network.