Minsk, cordoglio di regime

[Nota: l’articolo originale di Pierluigi Mennitti è pubblicato su East Side Report e ripreso dietro autorizzazione].

C’è un filo sottile che unisce tutte le dittature (o le autocrazie, a seconda dei giudizi sui regimi che si uniformano a categorie su cui neppure gli scienziati politici concordano): quello dell’ordine e della pulizia nei luoghi pubblici. Tutto deve essere sorvegliato e organizzato, ogni momento della vita pubblica e collettiva deve rientrare in un preciso automatismo stabilito dall’alto. Anche l’emozione e il cordoglio.

La Minsk di Alexander Lukashenko non sfugge alla regola. Basta guardare le foto a corredo di questa nota, scattate a distanza di qualche giorno sul luogo dell’attentato nella metropolitana [dell’11 aprile scorso], dove i cittadini si recano ancor oggi in quotidiano pellegrinaggio per ricordare le 14 vittime. Mentre sul piano delle indagini c’è da registrare l’avvio del procedimento giudiziario contro i due presunti colpevoli arrestati nei giorni successivi e su quello politico c’è da sottolineare che le certezze espresse dal governo non convincono neppure un po’ gli osservatori indipendenti, su quello sociale va registrata la curiosità di un cordoglio che, giorno dopo giorno viene in qualche modo istituzionalizzato.

Le foto sono state scattate da chi scrive. Le prime tre si riferiscono al pomeriggio del 13 aprile, due giorni dopo lo scoppio della bomba. Si nota la commozione della gente, la partecipazione intensa al dolore e soprattutto la deposizione spontanea dei fiori sul selciato del marciapiede antistante l’ingresso nella metro, l’accalcarsi disordinato dei cittadini sotto gli archi che conducono ai corridoi dove sono stati allestiti dei cartelloni commemorativi delle vittime.

Passano appena tre giorni, e la scena cambia rapidamente. Il caos non è consentito, neppure quando si tratta di esternare i sentimenti più profondi. Anche il dolore deve trovare un suo ordine, una sua disciplina. E a farci la guardia è bene metterci un bel militare, pronto a sorvegliare che i fiori vengano disposti negli appositi vasi, siano tutti allineati secondo una scenografia di regime, partecipino anche loro all’ordine marmoreo di una celebrazione funeraria che non tollera neppure un gesto fuori posto. Non sta bene, non nella Bielorussia di Lukashenko, che ha già individuato gli autori materiali dell’attentato e vuole avere mano libera nella ricerca dei mandanti. Alla stampa non sono stati forniti neppure i nomi degli arrestati, ma le loro motivazioni sono state già diffuse: «Si accordano con la personalità degli imputati, la loro educazione e attitudine alla vita – ha detto il procuratore generale Andrei Shved – e al momento dell’azione il loro stato mentale divergeva dalla norma». Più che motivazioni politiche, le parole di Shved rivelerebbero una predisposizione mentale: fuori dalla norma. Quella norma che neppure i fiori possono trasgredire.

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