Marocco: la sfida terroristica alla primavera riformista

[Nota: l’articolo originale di Umberto Profazio è pubblicato su Equilibri.net e coperto da copyright, ripreso dietro autorizzazione].

La primavera araba che è esplosa all’inizio di quest’anno e che sta coinvolgendo tutti i Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa non ha avuto i medesimi sviluppi in tutti gli Stati dell’area. Ogni Paese ha dovuto affrontare situazioni di crisi più o meno grave, in base alla solidità ed al consenso delle proprie istituzioni, ed ha adottato metodi diversi per venire incontro alle richieste che provenivano e continuano a provenire dai manifestanti. Specialmente in Nord Africa si può osservare l’intero spettro delle soluzioni a disposizione. Vi è chi, dopo una lunga prova di forza ha dovuto cedere il potere (Tunisia ed Egitto); chi ancora adesso continua a combattere per difendere lo status quo sia contro le proteste dei rivoltosi, sia contro la stessa comunità internazionale (Libia). Tra queste soluzioni estreme vi è anche chi, pur di evitare lo stravolgimento degli equilibri di potere o pur di evitare di reprimere senza esitazione le sommosse popolari, potrebbe aver scelto la via del riformismo: è appunto il caso del Marocco.

Una Commissione per le riforme

Il 12 marzo si è insediata a Rabat, alla presenza di Re Mohamed VI e di suo fratello Moulay Rachid, la Commissione consultiva di revisione della Costituzione (CCRC), incaricata di individuare le proposte di riforma della Carta Costituzionale marocchina. La CCRC è composta di 18 membri provenienti sia dalla classe politica che dalla società civile. Solo per citare alcuni nomi, tra di essi vi sono Omar Azziman, ex Ministro della Giustizia; Driss El Yazami, Presidente del Consiglio nazionale dei diritti dell’uomo; Amina Bouayach, Presidente dell’Organizzazione marocchina dei diritti dell’uomo. La Commissione deve individuare e suggerire proposte di riforma ed emendamento della Costituzione (risalente al 1962 ed emanata da re Hassan II, padre dell’attuale re Mohamed VI) che rendano il Marocco maggiormente democratico e rispettoso dei diritti umani, venendo incontro alle richieste della popolazione marocchina.

La Commissione è presieduta da Abdeltif Menouni, professore di diritto costituzionale che in un’intervista del 29 marzo a Jeune Afrique ha definito il mandato conferito ampio e relativamente esteso. Oltre alla democratizzazione delle istituzioni, Menouni ha anche indicato tra i vari temi che la CCRC approfondirà anche la questione dell’identità nazionale e quella del rafforzamento dell’autorità giudiziaria, ottenibile, a suo avviso, tramite una più rigida separazione dei poteri. Entro il 16 giugno la Commissione dovrà inviare le sue proposte a Re Mohamed VI e tale nuova legge fondamentale verrà sottoposta a un referendum.

I punti chiave della riforma

Si tratta, come abbiamo visto, di un procedimento molto articolato che porterà dei frutti solo nel medio-lungo termine. Il sospetto potrebbe essere che facendo in tal modo Mohamed VI stia guadagnando tempo, al fine di mantenere i propri poteri, aspettando che la primavera araba passi ed arrivi una stagione più compiacente con la monarchia marocchina. La scelta immediata del sovrano è stata comunque quella di andare incontro alle dimostrazioni popolari di questi giorni, ma senza alcuna fretta e con la giusta moderazione. E’ per questo che si è decisa l’istituzione del Consiglio nazionale dei diritti umani, organo consultivo del governo voluto dal re proprio per venire incontro alle richieste dei manifestanti. Inoltre, poco prima che la CCRC venisse istituita, il 9 marzo il re ha tenuto un discorso in cui annunciava importanti cambiamenti politici al fine di rafforzare l’indipendenza del sistema giudiziario da quello politico e di garantire una maggiore separazione dei poteri.

Le principali proposte di riforma per il Marocco indicano un modello di monarchia parlamentare: il Primo ministro, attualmente nominato dal re, avrà una legittimazione indiretta che deriverà dall’essere leader del partito che avrà vinto le elezioni. Verrà infatti nominato dal Parlamento, e potrà a sua volta nominare i ministri. Viene quindi rafforzato l’istituto governativo, sottraendo importanti poteri al re ed andando incontro alla richiesta dei manifestanti di un re che “regni ma non governi”. Una pura figura di garanzia. Sotto il profilo giudiziario verrà garantita una maggiore indipendenza ai tribunali, mentre sul versante dei diritti umani e delle libertà fondamentali sarà effettuato un grosso lavoro per adeguare la legislazione marocchina alle principali convenzioni internazionali in materia. Vi è stato anche un accenno alla parità dei sessi, con la promessa per le donne di un accesso alle cariche elettive uguale a quello degli uomini, garantito attraverso leggi specifiche. Infine un passaggio importante è stato quello del decentramento amministrativo, con il riconoscimento dell’identità multietnica del Marocco dando più poteri alla periferia rispetto al centro. Come possiamo osservare, si tratta di proposte di riforma che mirano a rendere il Marocco un Paese più “occidentale” e che difficilmente potranno ottenere sostegno da parte delle formazioni islamiste.

Il Movimento 20 febbraio e gli islamisti

Nel frattempo però, il meccanismo che si è improvvisamente messo in moto sembra inarrestabile. Il governo ha annunciato nei mesi scorsi l’aumento di salari e pensioni per i dipendenti pubblici e il 14 aprile lo stesso re Mohamed VI ha dovuto scarcerare 148 detenuti politici, concedendo l’indulto, oltre a ridurre la pena per altri 42 detenuti. Si tratta perlopiù di islamisti, la maggior parte dei quali erano stati condannati nell’ambito della inchiesta sulla cellula di Belliraj, e di difensori dei diritti umani, come Chakib Al Kahyari, condannato nel 2009 per presunti legami con i servizi segreti spagnoli. Tale mossa sembra dettata da una ragione puramente politica: quella di disinnescare all’origine le rivolte che continuano a tenere sotto scacco il Paese dal 20 febbraio. Una data storica in cui si sono tenute le prime grandi manifestazioni in Marocco, seguendo l’esempio delle rivoluzioni della primavera araba. Il 20 febbraio, infatti, migliaia di persone avevano manifestato per le strade del Paese chiedendo maggiore democrazia e partecipazione all’attività politica. Le richieste dei manifestanti, poi costituitisi in un movimento detto appunto Movimento 20 febbraio, erano e continuano ad essere la riforma della Costituzione, le dimissioni del governo e la dissoluzione del Parlamento, al fine di indire nuove elezioni.

Il successo della manifestazione ha preso di contropiede tutti i principali partiti ed attori politici del Paese, tutti, tranne uno: il movimento Giustizia e carità. La sezione giovanile della formazione islamista, guidata da Abdessalam Yassine, ha aderito alla manifestazione, invitando i propri affiliati a partecipare in modo pacifico. Alla stregua di quanto è avvenuto in Egitto con i Fratelli Musulmani, anche in Marocco gli islamisti hanno cercato di appoggiare le proteste suscitando le preoccupazioni degli osservatori occidentali. Ancora prima che prendesse forma il Movimento 20 febbraio infatti, il movimento Giustizia e carità, interdetto dalle attività politiche ma tollerato dalle autorità marocchine, aveva pubblicato un comunicato in cui salutava le manifestazioni in Tunisia ed Egitto, chiedeva un cambiamento democratico urgente in Marocco per mettere fine all’autocrazia e reclamava l’abrogazione della Costituzione. Naturalmente, molti analisti hanno esagerato l’importanza di tali affermazioni e dello stesso movimento Giustizia e Carità (che secondo le autorità marocchine ha tra i 30.000 ed i 40.000 affiliati), presentando il Movimento 20 febbraio come pericolosamente infiltrato da pericolosi estremisti islamici e dando una motivazione in più per respingere le richieste dei manifestanti. Questi ultimi oltre al rischio di venire strumentalizzati, devono anche affrontare l’ostilità dei principali partiti politici del Paese: l’Istiqlal del Primo Ministro Abbas El Fassi, il principale partito politico del Marocco, ha rifiutato di partecipare alla manifestazione del 20 febbraio ed a quelle successivamente proclamate, dichiarandosi contro le rivendicazioni del movimento. Medesima posizione hanno preso gli esponenti del partito d’opposizione Giustizia e Sviluppo (di stampo islamista moderato). Creando in tal modo una vera e propria alleanza trasversale contro il Movimento 20 febbraio.

Conclusioni: i tempi lunghi e la sfida terroristica

Il 28 aprile un kamikaze si è fatto esplodere in un bar di Marrakech (qui e qui dei video) causando la morte di 15 persone, dei quali 11 stranieri. Nonostante i primi dubbi in proposito, la pista terroristica si è affermata dopo i primi sopralluoghi. Non è stata ancora effettuata alcuna rivendicazione, ma i sospetti si concentrano tutti sulla cellula terroristica di Al Qaeda in Maghreb (AQIM). Il tempismo dell’attentato è stato alquanto sospetto. E’ avvenuto infatti a pochi giorni dalla manifestazione del 24 aprile, in cui vi sono state varie dimostrazioni di protesta in Marocco. Sembra che lo scopo principale di queste manifestazioni sia stato quello di mettere pressione al re e alla classe dirigente, al fine di attuare al più presto le riforme promesse.

Inoltre l’attentato è avvenuto poco dopo le aperture democratiche di Mohamed VI, e in particolare dopo la liberazione dei 148 detenuti. Un gesto conciliatorio sia nei confronti dei difensori dei diritti umani che nei confronti degli islamisti. Ai quali, piaccia o meno, spetterà una responsabilità maggiore nella gestione del potere non solo in Marocco, ma anche in tutti gli altri Paesi arabi colpiti dalle rivolte di questi giorni. L’attentato del 28 aprile potrebbe avere come conseguenza principale un ripensamento della monarchia sulle aperture alla democrazia ed ai diritti umani, bloccando sul nascere quel processo di riforma avviata dopo le manifestazioni del 20 febbraio. Ma a ben vedere potrebbe anche rappresentare un segnale importante sulla volontà da parte dei fondamentalisti islamici di bloccare con ogni mezzo le riforme avviate da Mohamed VI e la possibile evoluzione del Marocco in una monarchia parlamentare di stampo occidentale.

[Nota: l’articolo originale di Umberto Profazio è pubblicato su Equilibri.net e coperto da copyright, ripreso dietro autorizzazione].

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