In occasione della quinta edizione dell’IJF (International Journalism Festival) di Perugia, blogger, giornalisti o semplici “cittadini di Internet” assetati di diritti hanno avuto modo di confrontarsi tra loro. Uno degli obiettivi del laboratorio perugino è stato “costruire la strategia”, il futuro della Rete, la cooperazione della popolazione con i media mainstream e gli attori del mondo dell’informazione non riconosciuti professionalmente. Approfittare di Internet e dei suoi ingredienti, i tools, le nuove piattaforme, i cyber-alimenti che giovano alla libertà d’informazione. Il meteo-Web di Perugia è terso: giornalismo partecipativo e “umanitario”, attivismo online, e un motto condiviso: “Technology helps democracy”.
Tuttavia si lavora sempre sul territorio e sgorga insaguinato il “Restiamo umani” di Vittorio Arrigoni, giornalista, blogger e attivista sul campo, ucciso pochi giorni fa in Palestina. Al Festival “lui poteva esserci”, come ricorda Antonella Sinopoli, fra i fondatori di Voci Globali, non dimenticando il suo blog Guerrilla Radio.
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Web come motore delle rivoluzioni africane e mediorientali, ma tutto nasce dal basso, combinando attivismo online e azioni sul territorio. Il circuito volontario di Global Voices lavora in stretto contatto, confrontandosi, decidendo insieme, ma soprattutto operando sul campo: “noi siamo lì con i blogger e sappiamo cosa succede” spiega Lova Rakotomalala, editor di GV per la sezione francofona dell’Africa. “Quello che facciamo – continua – è contestualizzare, tradurre e diffondere le notizie di blogger eminenti nei Paesi vessati dai regimi autoritari. Questo è il valore aggiunto di Global Voices”. Un Network in grado, tramite il progetto Rising Voices, di fornire supporto tecnico alla popolazione nei Paesi in via di sviluppo, dalle mini-borse di studio alla copertura del costo della connessione Internet per i blogger indigenti. Con un lavoro costante fatto di presenza, scrittura ma anche analisi Global Voices ricava un’ampia comprensione del contesto grazie alla mappatura dei blog. E questo non solo quando scoppiano rivoluzioni.
Ci sono delle “comunicazioni segrete” con gli attivisti per aggirare la censura, incalza Sami Ben Gharbia, attivista tunisino e direttore di GV Advocacy, “scriviamo manuali utili a proteggere l’identità del blogger o su come sfruttare al meglio e in tutta sicurezza la piattaforma WordPress, i social media, gli attivisti spesso non sono consapevoli dei rischi che corrono”. “Se qualcuno viene arrestato – aggiunge – diffondiamo la notizia. Per garantire la copertura degli autori cambiamo l’URL dei post che traduciamo.” Sami è stato esule per molti anni, costretto a lasciare il suo Paese, la Tunisia, da un regime autoritario. Quel regime che sarebbe poi caduto grazie alla Rivoluzione del Gelsomino. Sami è co-fondatore di Nawaat, blog collettivo di attivisti tunisini che proprio recentemente ha ricevuto il Netizen Prize 2011 di Reporters Sans Frontières.
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“Nei Paesi in via di sviluppo Internet è per lo più telefonia mobile”, oppure call center, la popolazione entra sulla Rete in mobilità e lo fa con uno strumento più accessibile economicamente, spiega Juliana Rotich, co-fondatrice di Ushahidi: un sistema di aggregazione di notizie tramite Internet, SMS e micro-blogging che raccoglie testimonianze locali geolocalizzandole e permettendo, ad esempio, un supporto logistico immediato alle popolazioni colpite dai disastri ambientali o la mappatura di un territorio nel caso di violenze post elettorali.
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I pionieri del blogging ricordano che “Facebook is a tool” ma è privo di tag, di un sistema di archiviazione e di ricerca informazioni, non basta più. Bernardo Parrella, co-fondatore dell’associazione Voci Globali e coordinatore di Global Voices in Italiano, aggiunge: ci sono “ulteriori metodologie tecnico-dinamiche per consentire ai cittadini di partecipare online. Siamo noi cittadini che impegnandoci prendiamo le notizie dal basso, diventiamo il centro dell’informazione rilanciadola in varie forme. Cambiamo il mondo”.