Haiti un anno dopo. Chi si aspettava un Paese pronto a rinascere dalle macerie del terremoto che nel gennaio 2010 lo ha sconvolto, oggi, di fronte ad accampamenti, epidemie e cantieri fantasma si deve tristemente ricredere. Nei dodici mesi trascorsi dopo la catastrofe sono arrivati aiuti da ogni parte del mondo. Di fatto però la popolazione continua a vivere tra mille difficoltà senza riuscire a beneficiare di questa immensa mole di aiuti umanitari.
Un webdocumentario realizzato dai fondatori di Solidar’IT in Haiti, Giordano Cossu e Benoit Cassegrain, dal titolo “Goudou Goudou, le voci ignorate della ricostruzione” (uscito in versione francese sul sito di Radio France International e France 24 in occasione dell’anniversario del 12 gennaio) racconta tutto questo – grazie alle voci non filtrate degli stessi cittadini.
Mostra «le difficoltà che anziani, donne sole con bambini o semplicemente giovani senza lavoro affrontano quotidianamente per trovare qualcosa da mangiare» spiega Cossu. La vita nei campi per gli sfollati, i difficili rapporti con le Ong, la ricostruzione che sembra non partire mai, i problemi sanitari: questi alcuni dei temi del documentario proposti attraverso interviste realizzate da cinque giovani giornalisti radiofonici haitiani. Negli occhi degli intervistati si legge la delusione e la rassegnazione di chi, subito dopo il terremoto, credeva che la situazione di difficoltà sarebbe stata transitoria, ma che dopo mesi, non vedendo alcun miglioramento e nessuna soluzione all’orizzonte, si è arreso e vive alla giornata. Senza più speranze.
Cosa sta succedendo ad Haiti? La ricostruzione a che punto è? E quali sono i risultati dell’intervento delle Ong, tanto sbandierati in occasione di questo triste primo anniversario della catastrofe? A queste domande Cossu e Cassegrain rispondono con immagini e testimonianze che pesano come macigni «Non c’è dubbio che ci sia una barriera netta di comunicazione tra la popolazione e le Ong – spiega Cossu – . Gli haitiani vedono centinaia, migliaia di Ong ad Haiti, ma non riescono a percepire il reale beneficio della loro presenza. Questo perché il coinvolgimento di popolazione e organizzazioni locali nelle decisioni delle Ong è minimo: le decisioni spesso vengono prese altrove, troppe volte condizionate dai grandi buyers di progetti i cui parametri non sono calati sulla realtà locale. Rarissimi i casi in cui sono gli haitiani a prendere le decisioni chiave». Dal documentario emerge un quadro sconfortante, in cui Ong e popolazione sembrano vivere in due diverse realtà, «le Ong fanno molta comunicazione, ma la confezionano e la dirigono più verso i loro Paesi d’origine che verso i beneficiari dei loro programmi. Questo per mantenere il flusso di fondi e donazioni a scapito dell’efficacia dei programmi. Le persone nei campi non hanno alcuna idea di quale attività svolgano questa o quella Ong». Non solo. «Vengono fornite cifre dei ‘successi’ senza spiegare gli ‘insuccessi’, senza chiarire quanti soldi siano stati impiegati per realizzare quei progetti, quali siano gli obiettivi e strategie a lungo termine, e soprattutto le strategie di uscita. Non ci sono bilanci chiari e trasparenti sull’operato delle varie Ong».
Così la ricostruzione va a passi lenti, lentissimi. Nello scorso autunno a Port-au-Prince, racconta chi ci vive e lavora, sono stati allestiti i primi cantieri e si sono ‘materializzati’ camion che trasportano macerie verso discariche fuori città. «Tutto procede però lentamente per mancanza di mezzi – spiega Cossu -: il caso più frequente è vedere manovali che demoliscono un palazzo anche di 5 piani con un martello e una seghetta per metalli. I tempi sono biblici. I casi di ricostruzione pubblica, finanziata dai soldi degli aiuti dei governi, inoltre sono ancora limitatissimi e l’unico caso a mia conoscenza è quello di un insieme di isolati del centro commerciale della città, che è stato dichiarato di utilità pubblica ed è stato ripulito attraverso un contratto a una società americana. Ma per il resto, non esiste ancora un chiaro piano di ricostruzione, e le persone nei campi sono tutt’ora in attesa di un segnale perché la loro condizione cambi».
Il progetto, creato e realizzato da Cossu e Cassegrain, è sostenuto dalla Fondation de France, Reporters sans Frontières, Radio France International e Internews.
PS: segnaliamo che venerdì 11 febbraio alle ore 17.30 si terrà a Roma presso Officine Fotografiche, via Libetta 1, l’evento Roma incontra Haiti ad un anno del terremoto. Maggiori informazioni sul sito di Roma Multietnica.