21 Novembre 2024

Haiti e il miraggio della ricostruzione

Haiti un anno dopo. Chi si aspettava un Paese pronto a rinascere dalle macerie del terremoto che nel gennaio 2010 lo ha sconvolto, oggi, di fronte ad accampamenti, epidemie e cantieri fantasma si deve tristemente ricredere. Nei dodici mesi trascorsi dopo la catastrofe sono arrivati aiuti da ogni parte del mondo. Di fatto però la popolazione continua a vivere tra mille difficoltà senza riuscire a beneficiare di questa immensa mole di aiuti umanitari.

Un webdocumentario realizzato dai fondatori di Solidar’IT in Haiti, Giordano Cossu e Benoit Cassegrain, dal titolo “Goudou Goudou, le voci ignorate della ricostruzione” (uscito in versione francese sul sito di Radio France International e France 24 in occasione dell’anniversario del 12 gennaio) racconta tutto questo – grazie alle voci non filtrate degli stessi cittadini.

Mostra «le difficoltà che anziani, donne sole con bambini o semplicemente giovani senza lavoro affrontano quotidianamente per trovare qualcosa da mangiare» spiega Cossu. La vita nei campi per gli sfollati, i difficili rapporti con le Ong, la ricostruzione che sembra non partire mai, i problemi sanitari: questi alcuni dei temi del documentario proposti attraverso interviste realizzate da cinque giovani giornalisti radiofonici haitiani. Negli occhi degli intervistati si legge la delusione e la rassegnazione di chi, subito dopo il terremoto, credeva che la situazione di difficoltà sarebbe stata transitoria, ma che dopo mesi, non vedendo alcun miglioramento e nessuna soluzione all’orizzonte, si è arreso e vive alla giornata. Senza più speranze.

Cosa sta succedendo ad Haiti? La ricostruzione a che punto è? E quali sono i risultati dell’intervento delle Ong, tanto sbandierati in occasione di questo triste primo anniversario della catastrofe? A queste domande Cossu e Cassegrain rispondono con immagini e testimonianze che pesano come macigni «Non c’è dubbio che ci sia una barriera netta di comunicazione tra la popolazione e le Ong – spiega Cossu – . Gli haitiani vedono centinaia, migliaia di Ong ad Haiti, ma non riescono a percepire il reale beneficio della loro presenza. Questo perché il coinvolgimento di popolazione e organizzazioni locali nelle decisioni delle Ong è minimo: le decisioni spesso vengono prese altrove, troppe volte condizionate dai grandi buyers di progetti i cui parametri non sono calati sulla realtà locale. Rarissimi i casi in cui sono gli haitiani a prendere le decisioni chiave». Dal documentario emerge un quadro sconfortante, in cui Ong e popolazione sembrano vivere in due diverse realtà, «le Ong fanno molta comunicazione, ma la confezionano e la dirigono più verso i loro Paesi d’origine che verso i beneficiari dei loro programmi. Questo per mantenere il flusso di fondi e donazioni a scapito dell’efficacia dei programmi. Le persone nei campi non hanno alcuna idea di quale attività svolgano questa o quella Ong». Non solo. «Vengono fornite cifre dei ‘successi’ senza spiegare gli ‘insuccessi’, senza chiarire quanti soldi siano stati impiegati per realizzare quei progetti, quali siano gli obiettivi e strategie a lungo termine, e soprattutto le strategie di uscita. Non ci sono bilanci chiari e trasparenti sull’operato delle varie Ong».

Così la ricostruzione va a passi lenti, lentissimi. Nello scorso autunno a Port-au-Prince, racconta chi ci vive e lavora, sono stati allestiti i primi cantieri e si sono ‘materializzati’ camion che trasportano macerie verso discariche fuori città. «Tutto procede però lentamente per mancanza di mezzi – spiega Cossu -: il caso più frequente è vedere manovali che demoliscono un palazzo anche di 5 piani con un martello e una seghetta per metalli. I tempi sono biblici. I casi di ricostruzione pubblica, finanziata dai soldi degli aiuti dei governi, inoltre sono ancora limitatissimi e l’unico caso a mia conoscenza è quello di un insieme di isolati del centro commerciale della città, che è stato dichiarato di utilità pubblica ed è stato ripulito attraverso un contratto a una società americana. Ma per il resto, non esiste ancora un chiaro piano di ricostruzione, e le persone nei campi sono tutt’ora in attesa di un segnale perché la loro condizione cambi».

Il progetto, creato e realizzato da Cossu e Cassegrain, è sostenuto dalla Fondation de France, Reporters sans Frontières, Radio France International e Internews.

PS: segnaliamo che venerdì 11 febbraio alle ore 17.30 si terrà a Roma presso Officine Fotografiche, via Libetta 1, l’evento Roma incontra Haiti ad un anno del terremoto. Maggiori informazioni sul sito di Roma Multietnica.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *