Media e diritti umani: rapporto difficile ma in mutazione positiva
L’informazione mainstream e le tematiche sociali, si sa, hanno da sempre un rapporto “conflittuale”: le notizie che le ONG cercano di “vendere” spesso non sono quello che le grandi testate vogliono “comprare”. Scenario tipico sopratuttto in Italia.
A chi interessa parlare delle diverse e sempre più numerose esperienze di commercio equo e solidale in molti Paesi del ‘Sud del mondo’? E delle lotte dei campesinos in America Latina? E chi ha mai letto o sentito parlare, per esempio, dell’impatto che gli EPA (Economic Partnership Agreements) avrebbero sui Paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico?
Basta sfogliare qualche giornale o rivista, sintonizzarsi su un canale della TV nazionale, dare un’occhiata a note testate online per rendersi conto che questo tipo di informazioni sono merce rara da incontrare. E quando ci s’interessa alle tematiche legate ai diritti umani, questi vengono considerati per lo più un “problema di importazione”, estraneo alla nostra quotidianità. Guerre, carestie, epidemie, catastrofi naturali sono tutti eventi legati a situazioni belliche o drammatiche che avvengono lontano dai nostri occhi, cronache e approfondimenti che raramente vengono messi sotto riflettori.
Come è possibile, quindi, nel nostro Paese portare tematiche “sociali” di carattere internazionale all’attenzione di un numero maggiore di persone? Come sensibilizzare l’opinione pubblica ai temi della cooperazione? E la tutela dei diritti umani rappresenta un problema solo per gli “addetti ai lavori”?
Sono questi gli interrogativi a cui, lo scorso 27 Novembre, studiosi, giornalisti e ONG hanno cercato di dare risposta nel corso della giornata di studio denominata “Che tempo che fa”, seminario promosso nell’ambito della Campagna del millennio “No Excuse 2015” dell’ONU, dal CMCS – Centre for Media and Communication Studies dell’Università Luiss Guido Carli, da FairWatch e dal consorzio europeo “Creating Coherence on Trade and Development”.
Un’importante giornata di confronto sugli spazi di rappresentazione delle vecchie e nuove politiche di sviluppo dell’Unione Europea, con testimonianze di alcune esperienze dirette di professionisti dell’informazione. Ne è emerso un quadro in cui i new media vanno progressivamente imponendosi in quanto strumenti fondamentali di comunicazione e interazione — sia per le ONG che per il mondo dell’informazione in generale — rispetto alla società civile e al mondo istituzionale. Velocità, bassi costi di trasmissione, niente filtri, e interazione con l’audience sono, in particolare, caratteristiche che giovano alle ONG e alle tematiche da queste veicolare.
Considerando anche le scarse risorse attualmente a disposizione delle testate giornalistiche (che si vedono costrette a fare a meno di corrispondenti o inviati speciali), la figura del blogger e i citizen media (insieme a piattaforme e software di facile impiego e gratuiti) assumono un ruolo fondamentale per la correttezza delle informazioni e la velocità di diffusione delle notizie in presa diretta dalle cosiddette “zone calde” del pianeta.
A volte basta riprendere quanto propone un blogger (che sia un cooperante o un semplice cittadino) che, ad esempio, scrive direttamente dal villaggio africano in cui si porta avanti un progetto di cooperazione, per rompere con i canoni consolidati del sistema dell’informazione che ci ha accompagnato finora. Si creano così nuove modalità per raccontare una storia personale o le condizioni socio-economiche di un Paese del sud del mondo, andando oltre le limitazioni del giornalismo “tradizionale” spesso controllato da editori che offrono informazioni sempre meno indipendenti e sempre più omologate.
Vanno tuttavia emergendo, anche su alcune testate mainstream nostrane, dei tentativi per portare all’attenzione del grande pubblico i temi dimenticati delle relazioni internazionali.
L’esperienza di Mondo Solidale, rubrica nata qualche mese fa su Repubblica.it e diretta da Massimo Razzi, ne è un’esempio. Mondo Solidale rappresenta un “esperimento” che ha come obiettivo principale quello di colmare il vuoto lasciato dalle sezioni “tradizionali”, sia del cartaceo che della versione online, rispetto al mondo della solidarietà e della cooperazione. E’ uno spazio dove, fra l’altro, si possono leggere articoli e approfondimenti sugli aiuti internazionali, le mancate promesse dei governi, gli interventi delle organizzazioni del volontariato nei Paesi “in via di sviluppo” e in Italia, la questione dei profughi, le emergenze dimenticate.
Altrettanto interessante è l’iniziativa Shoot for Change, un network internazionale di volontari amanti o professionisti della fotografia che col motto Shoot Local, Change Global! cerca di far emergere le voci e le storie inascoltate in difesa dei diritti umani.
Esistono insomma anche in Italia le premesse e gli strumenti per un’informazione sulle tematiche dei diritti umani che sia più completa, più “equa” e fruibile: non solo per gli addetti ai lavori, ma per un numero sempre maggiore di persone. Come andiamo riproponendo in questo spazio, sono in costante aumento le ‘voci nuove’ che vogliono – e possono – essere ascoltate in maniera diretta e non filtrata, direttamente dal cosidetto ‘Sud del mondo’. E’ una nuova speranza di cambiamento sociale e finanche culturale nel conflittuale rapporto tra informazione tradizionale e tematiche sociali a volte considerate ‘scomode’. Non resta che allargare sempre più l’area della partecipazione.