Testo originale di best writing paper , ripreso dal blog collettivo . Traduzione di Norma Lelli.
Prima che si instaurasse il regime dei talebani frequentavo l’università. Quello fu il periodo migliore della mia vita. Dopo che i talebani presero il controllo del Paese fui costretta a rimanere dentro casa per cinque anni. Non potrò mai dimenticare quel periodo lungo e buio. Fino ad allora non avevo conosciuto la sofferenza o affrontato alcuna difficoltà, ma il regime cambiò ogni cosa per noi donne.
Ci privò di ogni diritto, persino quello di vivere come autentici esseri umani.
Sin da piccola il mio sogno era diventare scrittrice. All’università volevo studiare letteratura. Ora invece restavo in casa, depressa, senza sapere come passare il tempo. Sembrava non ci fosse niente di cui scrivere, non frequentavo più gli amici, non avevo il permesso di uscire e non avevo modo di ricevere notizie dai miei compagni di scuola.
Dopo quattro o cinque mesi di vita solitaria e deprimente, un giorno mi prese un terribile mal di testa. Mia madre e la mia sorella maggiore mi portarono dal dottore in taxi. Durante il viaggio un talebano ci fermò e chiese all’autista perché ci facesse viaggiare senza una scorta maschile, poi lo colpì e ci gridò di scendere dall’auto. Eravamo sotto shock e non sapevamo cosa fare. Impiegammo un’ora e mezza per tornare a casa a piedi. Ero completamente fuori di me e per settimane non riuscii a dimenticare l’episodio. Dissi ai miei familiari che mai più sarei uscita di casa.
Un giorno, una delle nostre vicine venne a prendere un po’ d’acqua dal nostro pozzo, perchè a casa sua non c’era acqua potabile: quando mi vide così depressa chiese a mia madre cosa stesse accadendo.
Mia madre le raccontò la storia del tassista e le disse che dover restare a casa mi stava uccidendo. La vicina le suggerì allora di farmi frequentare un corso di cucito per donne, che non comportava alcun rischio perché l’insegnante aveva il permesso dei talebani. Anche le sue due figlie vi si erano iscritte e stavano imparando a cucire abiti.
Dapprima non volevo andare e dissi a mia madre che sicuramente il corso non mi avrebbe resa più felice perché avevo troppa paura di uscire di casa, però lei rispose che invece mi avrebbe offerto opportunità ben più grandi che imparare semplicemente a cucire e che sicuramente avrei trovato qualcosa che mi avrebbe rallegrata. Sosteneva che non avrei corso alcun rischio e che non dovevo avere paura. Insistette dicendomi di provare per qualche giorno: se non mi fosse piaciuto avrei potuto smettere. Se lo desideravo mi avrebbe accompagnata lei stessa, oppure mio padre.
Alla fine decisi di provare. Il primo giorno non rivolsi la parola a nessuno, se non per rispondere alle domande. Il giorno seguente non volevo andare, ma mia madre mi costrinse. Venne con me per una settimana, dopodiché vinsi la paura e mi unii alle altre ragazze.
Un giorno, durante una pausa, vidi due donne che si scambiavano dei libri. Una delle due diede dei soldi all’altra. Ero curiosa e chiesi cosa stessero facendo. La donna di nome Fakhria mi disse che vicino a casa sua aveva trovato una biblioteca. Aveva chiesto al proprietario di prestarle alcuni libri e l’uomo aveva acconsentito, a patto che Fakhria non informasse i talebani, perché altrimenti la pena sarebbe stata molto severa. Così la donna aveva iniziato a prendere a prestito i libri e leggerli a casa. Poi aveva cominciato a prenderli anche per le sue amiche più strette e in cambio dava dei soldi al bibliotecario. In questo modo l’uomo poteva guadagnare denaro extra, mentre Fakhria era riuscita a organizzare una rete che consentiva alle donne del suo quartiere di avere accesso ai libri, poiché anch’esse, come lei e tutte le altre donne, erano state private di ogni diritto. Chiesi subito a Fakhria se potevo prendere in prestito anch’io il libro per qualche giorno, dopo che aveva finito di leggerlo, e lei mi rispose “Sì, ma devo fare attenzione”. Poi mi disse che, se volevo, mi avrebbe portato un altro libro il giorno seguente, e io acconsentii.
Da quel momento andare a scuola diventò meraviglioso. Il giorno dopo, durante l’intervallo, Fakhria mi diede un volume pesante, intitolato “Fall of an Angel”: lo presi e aspettai con impazienza di finire la lezione per iniziare a leggere. Appena arrivata a casa andai subito nella mia stanza e cominciai. Presto fui così presa che in poche ore ne avevo letto la metà. E piansi molto, perché nel libro l’Angelo deve sopportare molte sofferenze.
Quando si fece buio mia madre venne a chiamarmi e mi chiese perché piangessi, così le raccontai la storia dell’Angelo e di Fakhria. Mia madre mi disse di continuare a leggere e questo mi sorprese, ma mi diede anche coraggio. Cenai in fretta e tornai in camera a leggere, fino a ben oltre la mezzanotte.
Mia madre si accorse di quanto fossi felice di frequentare il corso e che ogni volta tornavo a casa con due o tre libri. In quei giorni ne lessi a decine: mi riportarono la luce dopo il buio, mi restituirono la speranza. Ogni volta che finivo di leggere il capitolo di un libro, correvo in salotto e ne raccontavo la storia alla mia famiglia. Erano contenti di ascoltarmi e ne parlavamo a lungo insieme. Leggere mi fece tornare la passione per la vita, non volevo più stare chiusa in camera a rimuginare sui talebani. Mio fratello raccontò ad un suo amico alcune delle storie che avevo letto e questi gli disse che anche lui possedeva molti libri e che me li avrebbe prestati.
Dopo tre mesi mio padre mi chiese di scrivere in un diario le frasi più importanti dei testi che avevo letto. Ricordo che anche mio padre aveva un’agenda sulla quale riportava le citazioni importanti. Mi comprai un bel quaderno e una penna colorata e cominciai a tenere un diario, dove scrivo tutt’ora. Mi accorsi che leggendo libri e scrivendo un diario non avevo più tempo per la tristezza.
Un giorno mia madre mi chiese se il corso di cucito mi piacesse e io le risposi che adoravo frequentarlo, perché oltre che a cucire apprendevo anche tante cose dai libri. Le raccontai la storia di Fakhria, la donna che me li portava. Aveva perso sia il padre che la madre quando era molto giovane. Non si era mai sposata, perciò viveva con suo fratello e sua cognata. Prima dell’arrivo dei talebani era un’insegnante. Poi, come me, anche Fakhria era diventata apatica. Ma da quando aveva scoperto la biblioteca segreta, era di nuovo felice e aveva organizzato una rete che permettesse anche ad altre donne di prendere in prestito i libri e trarne beneficio.
Fakhria divenne la mia migliore amica in un periodo in cui nulla riusciva più a scuotermi. E’ stata lei a cambiarmi la vita e restituirmi la felicità. Subito dopo il corso di cucito, trovò un altro corso dove le donne imparavano a fare cesti fioriti e gioielli con le perline. Grazie alla vicina che ci aveva parlato del corso di cucito e a mia madre che mi costrinse a frequentarlo, ho incontrato Fakhria, la donna che mi ha aperto la porta della speranza semplicemente prestandomi dei libri.
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Testo originale: The Secret of the Hidden Library, di Fariba. Ripreso da : progetto coordinato in USA dalla scrittrice Masha Hamilton e centrato su produzioni letterarie e altri interventi originali di donne afgane.
Grazie Norma per averci raccontato questa storia piena di vita e di speranza. Mi sento gelare il sangue quando leggo delle sofferenze e dei soprusi che subiscono le donne nelle zone colpite dai conflitti armati, eppure, storie come questa ci insegnano l’importanza della cooperazione tra esseri umani, dello scambio interno alle comunità, della cultura come arma di lotta per la vita.
Sono più che convinta che la cultura sia un’arma potente, così come lo scambio di informazioni, e non solo in territori di guerra sebbene lì sia più evidente…le donne rappresentano un facile bersaglio, ma la capacità di stringere legami e connessioni è uno dei nostri punti di maggiore forza.
i libri salvano la vita 🙂