Le priorità dei “governi”. Il caso del Madagascar
Il Madagascar è un Paese remoto e complesso. A lungo fuori dal radar mediatico, due anni fa è sprofondato in una grave crisi istituzionale sfociata, nel marzo 2009, nella deposizione ed esilio in Sud Africa del Presidente eletto Marc Ravalomanana, a causa del colpo di Stato guidato dal poco più che trentenne Andry Rajoelina, ex disc jockey e ora leader dal dubbio curriculum. Nel referendum indetto mercoledì scorso su un progetto costituzionale, emerge la riduzione di cinque anni dell’età richiesta per candidarsi presidente, che consentirebbe a Rajolina di presentarsi alle prossime elezioni. Il referendum è però stato segnato da quel che appare come un nuovo tentativo di golpe per mano del generale Rakotonandrasana, il quale, con una ventina di militari, ha lanciato un appello all’ammutinamento. Ancora impossibile avere un quadro preciso della situazione: pare ci siano trattative in corso, ma è certamente difficile prevedere se e come si perverrà a regolari elezioni.
Indubbiamente difficile è anche credere che le priorità del governo malgascio guidato da Rajoelina siano le stesse che dovrebbe darsi un Paese con i problemi del Madagascar, sospeso dall’Unione Africana e raggiunto da sanzioni individuali a carico degli attuali leader per il mancato rispetto degli accordi di Maputo, oltre che da vari ammonimenti per la violazione dei diritti umani e per il protrarsi dei traffici illegali di legname pregiato.
Traffici deprecati da più parti e anche giustamente correlati “alla durevole crisi politica” e al perdurare di situazioni di povertà, ulteriore conseguenza della sospensione degli aiuti a titolo di sanzione che ha lasciato il governo malgascio privo di fondi, provocando anche disoccupazione e aumento del lavoro minorile, oltre a rendere la popolazione facile preda dei ‘signori del legno’, che possono assoldare i più bisognosi per svolgere il duro lavoro di taglio e trasporto.
Ma il problema della deforestazione in Madagascar è duplice: c’è la foresta “tradizionale”, quella piantata negli anni Settanta e sfruttata per fini economici e di sostentamento, e c’è il legname prezioso: bois de rose, palissandro, ebano. Ambiti diversi, ma che riguardano entrambi il futuro, e il potenziale per uno sviluppo equilibrato del Paese. E’ il preoccupante quadro che emerge dalla breve intervista al deputato francese Jacque Le Guen, che ha recentemente condotto un sopralluogo in Madagascar all’interno di una missione finalizzata alla stesura di un rapporto presentato all’Eliseo sulla conservazione delle foreste tropicali e della loro biodiversità. [Si ricordi che la Francia si sta facendo promotrice di un Fondo per il rimboschimento e l’adattamento al cambiamento climatico da inserire in un programma mondiale che favorisca il “passaggio da una politica di sviluppo a una politica di conservazione delle foreste, con la partecipazione delle popolazioni locali”. Di seguito il video con l’intervista a Jacque Le Guen [fr].
[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=yUYV_go07Dc&feature=related[/youtube]
Dalle parole di Le Guen emerge un dato sconvolgente rispetto al traffico di legnami preziosi: il loro sfruttamento illecito (solo l’anno scorso sarebbero state prelevate 56.000 tonnellate di legname pregiato) genera proventi pari alla metà degli aiuti concessi al Madagascar per lo sviluppo. Le Guen sottolinea l’urgenza di avviare la costruzione di un quadro di trasparenza che ponga agli arresti i trafficanti e impedisca loro di distruggere il patrimonio ambientale dell’isola.
La piaga dello sfruttamento delle foreste emergeva con forza e spessore anche emotivo in un’analisi del collaboratore di Global Voices Online Lova Rakotomalala, pubblicato qualche tempo fa sulla rubrica ‘Voci Globali’ de LaStampa.it. Ne riproponiamo qui alcuni stralci — a partire dal mesto commento di una nota ambientalista, sua connazionale:
«Ci battiamo per far capire alla gente che cos’è il tavy [pratica agricola del taglia e brucia], per spronare i giovani a piantare alberi e a salvaguardare il patrimonio malgascio, per sensibilizzare il mondo sulla foresta malgascia in via di estinzione, ma pare tutto inutile, visto che, mentre stiamo qui a discutere, la foresta di Masoala viene ancora saccheggiata senza ritegno per qualche milione di dollari, che finiranno nelle tasche di due o tre trafficanti»
Rakotomalala propone poi alcune considerazioni sull’onere che la classe dirigente malgascia dovrà assumersi per prendere in mano il destino del Paese, senza limitarsi a criticare l’efficacia degli interventi della comunità internazionale:
“Ma, francamente, cosa possiamo mai aspettarci dalla comunità internazionale? D’altronde pare che ormai l’Unione Europea abbia assunto precise posizioni di condanna. […] i relatori di Amnesty International? Chiaro anche il loro sopralluogo. Nonostante l’evidente incapacità dei nostri dirigenti di garantire un servizio minimo per la salvaguardia dei cittadini e del patrimonio, penso che i più non desiderino affatto un intervento dall’esterno. Quando si leggono articoli di denuncia sul caro-vita galoppante, sul sistema sanitario inesistente, sulla crescente insicurezza dovuta al traffico d’armi fra militari e criminali, sulla devastazione ambientale, allora agire non spetta più alla comunità internazionale, né ai cittadini comuni che già faticano a tirare avanti, figuriamoci [se scendono in piazza] a protestare.
Un altro post che dava conto delle inchieste in corso sullo scandaloso traffico di legnami preziosi, [qui il link al testo integrale], interpreta il danno ambientale come una delle conseguenze della durevole crisi politica del Madagascar:
[non va dimenticato] il danno ambientale, specialmente quello inflitto alla foresta pluviale con il saccheggio del cosiddetto bois de rose destinato al traffico illegale. Certi crimini hanno potuto essere documentati grazie alla collaborazione fra attivisti e organizzazioni impegnate nella conservazione e nella difesa dell’ambiente, e a inchieste su reati ambientali e sulla corruzione legata allo sfruttamento e al commercio delle risorse naturali. […]
Ed è recente la notizia della pubblicazione di un altro rapporto congiunto di Global Witness e della Environmental Investigation Agency Inc. (EIA), in occasione della decima conferenza della Convenzione sulla Biodiversità (COP 10) tenutasi dal 18 al 29 ottobre scorsi a Nagoya, in Giappone. Dal documento emerge un quadro tutt’altro che promettente sulla situazione dei traffici di legname in Madagascar. A sospingerli è la domanda di mobili di pregio e di strumenti musicali. Cina, Stati Uniti, Europa, seppur con grandezze assai diverse, sono i mercati di destinazione. Questo rapporto conferma quanto già si ipotizzava nel primo, e cioè che gli importatori godano del favore dei funzionari statali malgasci, nell’assenza di misure di contrasto efficaci da parte dell’attuale governo di transizione.
L’inchiesta in cui si inquadra il rapporto è stata commissionata dal Madagascar National Parks (ente indipendente per la gestione dei parchi dell’isola) nel 2009, quando l’avvento di Andry Rajoelina al potere avrebbe fatto registrare un incremento di queste attività illecite e devastanti per l’equlibrio ecologico della regione. Se l’entità dei traffici e dei danni correlati era già emersa nel primo rapporto pubblicato l’anno scorso (460.000 dollari Usa al giorno), il rapporto attuale si è arricchito di ulteriori informazioni sui mercati di destinazione e sui soggetti coinvolti a vari livelli. Il traffico illegale alimenta prevalentemente il mercato cinese (98%, secondo il rapporto), e in misura minore – e in parte solo indirettamente – quelli di Europa e Stati Uniti. Solo un’esigua parte degli utili resta comunque in Madagascar. I proventi, nelle mani dei ‘signori del legno’, prenderebbero la via di conti esteri oppure di investimenti immobiliari offshore.
Ecco, dal già citato post publicato sulla rubrica ‘Voci Globali’ de LaStampa.it, un altro stralcio sul tema, in cui si esprime rammarico per “l’impunità sconfinata” che vige nel Paese e per la scarsa consapevolezza tra la popolazione:
“[…] dell’impunità non si percepiscono i confini, mentre la coscienza collettiva sembra essere svanita. Se così non fosse, nella regione di Masoala, a qualche chilometro dai container della CGM-Delmas [azienda di trasporti francese accusata di favorire la distruzione delle foreste tropicali locali] un po’ di quei milioni ricavati dal bois de rose avrebbe almeno ridotto la malnutrizione dei contadini.”
Intanto, secondo il rapporto in questione, dai porti del Madagascar continuerebbero a salpare le navi della Delmas, che avrebbe dunque ancora un ruolo attivo, nonostante le pressioni ricevute da gruppi ambientalisti, e malgrado gli occhi puntati della comunità internazionale. Il rapporto contiene informazioni dettagliate sul sequestro di un carico ad opera delle autorità malgasce, cui non avrebbe fatto seguito alcuna condanna, né la compagnia di navigazione sembrerebbe aver accennato a interrompere la sua attività nell’area. Le richieste di chiarimento avanzate a più riprese (l’ultima è del gennaio di quest’anno) da Global Witness e EIA sarebbero rimaste inevase, tanto che le due organizzazioni hanno infine deciso di pubblicare una lettera aperta alla Delmas, allegandola al rapporto stesso, insieme ad ulteriore documentazione.
Allo studio del 2009 erano seguiti alcuni decreti del governo malgascio volti al riordino del settore. Pur riconoscendo il carattere illecito di quei commerci, quegli strumenti mancavano di garantire un divieto assoluto. Numerose infatti le concessioni accordate in via eccezionale ad alcuni esportatori: una politica che alla resa dei conti pare essere servita piuttosto a incoraggiare lo sfruttamento delle risorse boschive. Quel rapporto del 2009 aveva però portato qualche frutto, stimolando un’inchiesta, nel quadro del Lacey Act statunitense – strumento di legge al servizio delle agenzie per il contrasto al traffico illecito di piante e relativi prodotti – che aveva fatto scattare accertamenti. Il clamore suscitato dal caso e le campagne condotte da gruppi di pressione ed esperti hanno fatto retrocedere la domanda di certi legnami tanto negli Stati Uniti quanto in Europa. A ciò si aggiunga l’approvazione, lo scorso luglio, della risoluzione legislativa del Parlamento europeo che stabilisce gli obblighi degli operatori che commercializzano legno e derivati.
Ora, se il futuro della biodiversità nel Paese dipenderà anche dalla risposta che darà la Cina alla richiesta di adottare misure per porre fine all’importazione illegale, l’attuale rapporto fornisce elementi di sicuro interesse, per esempio un elenco di grossi acquirenti cinesi che sarebbero coinvolti nel commercio di legnami pregiati di provenienza malgascia e che vanterebbero relazioni di favore con il governo. La testata Wild Madagascar ha pubblicato una serie di articoli sul tema e anche un filmato da cui si evincerebbe un coinvolgimento diretto di Andrey Rajoelina.
Una situazione, quella del Madagascar, di cui sarà interessante seguire gli sviluppi, sia per la peculiarità del panorama politico e dei suoi attori sia per gli stretti intrecci che legano a questa scena politica la gestione delle risorse e i delicati equilibri ambientali ed economici. Con un’economia fragile e un patrimonio ambientale tanto ingente ma in pericolo, servirebbe qualcosa di meglio dell’alternarsi di repentini rovesciamenti istituzionali.