[Nota: l’articolo integrale di Violetta Silvestri è pubblicato su Equilibri.net e coperto da copyright, ripreso dietro autorizzazione].
La materia prima agricola più commerciata al mondo, infatti, è fortemente volatile e dipende, nella definizione del prezzo, da diversi fattori costitutivi del mercato. Primo tra tutti, naturalmente, il rapporto domanda/offerta mondiale. Al momento, le scorte di cotone sono scarse e non riescono a soddisfare la richiesta. I mercati devono fare i conti con il depauperamento delle scorte cinesi, con le devastanti inondazioni sulle piantagioni del Pakistan (la produzione scenderà di circa il 15% in questo Paese) con l’eccesso di piogge monsoniche in India. I prezzi del cotone diventano, quindi, remunerativi e gli agricoltori sono incoraggiati a dedicare al prodotto una maggior quantità di risorse, tanto in termini di lavoro che di terra coltivabile.
Intanto, però, sono soprattutto i Paesi asiatici a trovarsi in emergenza. […] E l’Africa? Nonostante non sia il più importante esportatore di cotone nel mercato mondiale, il continente punta molto sulla produzione cotonifera, che contribuisce con i suoi introiti ed attività collegate alla formazione di buona parte del prodotto interno lordo. L’oro bianco,infatti, è la fonte primaria delle esportazioni per molti Paesi dell’Africa occidentale e centrale. Il settore cotoniero è cruciale per la riduzione della povertà rurale e le attività ad esso legate impiegano circa 6 milioni di africani. […]
Nel timore di perdere anche la minima possibilità di guadagno nel mercato internazionale della fibra, gran parte del cotone africano in fase di coltivazione è stato già venduto al prezzo di 750 franchi CFA al chilo, un valore assolutamente svantaggioso se paragonato ai 1000 franchi CFA raggiunti in questo momento. L’Africa, quindi, dovrà essere abile e negoziare in modo più favorevole il prezzo della prossima raccolta: l’intera filiera potrebbe rinascere.
Nel frattempo, sono gli Stati Uniti, leader indiscussi nel mercato mondiale nell’esportazione del cotone, ad essersi assicurati la posizione più favorevole. Contando su circa 25.000 agricoltori nel settore, ben supportati da una politica nazionale di incentivi, il dipartimento americano dell’agricoltura ha annunciato che per la campagna 2010-2011 il raccolto aumenterà fino a 116,8 milioni di balle. […]
Attualmente, il bacino dell’Africa occidentale è il più prolifico per la produzione del cotone: Paesi quali il Mali, il Burkina Faso, la Costa d’Avorio ed il Benin giocano un ruolo di spicco nel settore. In quanto area geografica, infatti, grazie anche alla concentrazione di terreno adatto e ad un clima umido favorevole alla crescita della fibra naturale, l’Africa dell’Ovest si colloca al secondo posto delle esportazioni mondiali dopo gli Stati Uniti. Il cotone esportato da questa regione ammonta ad un valore di circa un miliardo di dollari. L’80% della produzione è destinato all’area asiatica, soprattutto ai mercati cinesi (36%), indonesiani (21%) e tailandesi (10%), mentre solo il 18% è rivolto ai mercati africani. […]
Nella maggior parte dei casi l’organizzazione del mercato è ibrida e lo Stato conserva un ruolo importante. In Ghana, per esempio, le attività relative alla produzione e al marketing sono state completamente privatizzate e lo stato si limita a controllare la certificazione delle piante e a mantenere accessibili le strade rurali. Così accade in Nigeria, dove le autorità pubbliche intervengono nella ricerca, nella certificazione, nella scorta di piantine e nei sussidi per i fertilizzanti.
In altri Paesi le compagnie statali ancora esistenti si occupano soltanto della sgranatura del cotone, come in Benin e in Togo, dove, però, l’industria della lavorazione del cotone si è aperta anche a tre imprese private. In alcuni casi, invece, la struttura pubblica è stata completamente eliminata e rimpiazzata. In Guinea, la “Nuovelle compagnie cotonnière de Guinée” si basa su partecipazioni finanziarie private e dei produttori. Altri Paesi, tra i quali il Burkina Faso, hanno avviato una liberalizzazione di tutto il settore, per cui ogni azienda è responsabile delle fasi di produzione, trasformazione, marketing della fibra. […]
Inoltre, a fronte del crescente fenomeno del “land grab”, ovvero dell’acquisto o affitto di terra da parte di investitori stranieri per colture nuove, quali i biocarburanti, l’Africa ha necessità di puntare sulla qualità e sulla modernità delle proprie piantagioni, compreso il cotone, piuttosto che sulla quantità. La scarsità e l’erosione delle terre disponibili, infatti, non è un problema da trascurare. In Benin, dove la fibra naturale rappresenta una risorsa chiave per l’economia locale, il problema del danneggiamento del suolo è già evidente. L’uso più intensivo di pesticidi sta erodendo la terra, distruggendo i suoi nutrienti. In più, con lo scopo di ottenere una fibra forte, spesso i coltivatori tagliano gli alberi in prossimità dei terreni per favorire il raggiungimento dei raggi solari, contribuendo alla graduale deforestazione dell’ecosistema. […]
La questione della produzione del cotone in Africa richiama l’attenzione su diversi aspetti economici e politici. Da una parte i Paesi africani dimostrano di non essere ancora in grado di trasformare del tutto la potenzialità delle proprie materie prime in ricchezza per l’economia nazionale. Questo è dovuto sia alle difficoltà legate ad un lento e non completo percorso di indipendenza economica, sia alle condizioni superimposte dagli organismi internazionali.
Se nell’ambito di grandi istituzioni, quali l’OMC, i Paesi più ricchi e sviluppati riescono ad avere un peso maggiore per tutelare i propri interessi, violando lo spirito delle leggi internazionali su cui tali organizzazioni si fondano, il mercato non sarà mai un’opportunità uguale per tutti.
L’Africa, d’altra parte, dovrà al più presto organizzarsi come entità regionale unita, per esprimersi in modo più forte e credibile nel mercato del cotone. Le piccole realtà dei produttori sparse negli Stati occidentali e centrali del continente africano sono il motore del settore cotonifero. Senza una politica commerciale regionale integrata, però, rischiano di fallire.
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[Nota: stralci dall’articolo integrale di Violetta Silvestri, pubblicato su Equilibri.net e coperto da copyright, ripreso dietro autorizzazione].