Il numero degli stranieri residenti in Italia continua a salire. All’inizio del 2010 i cittadini stranieri erano 4.235.059, pari al 7,0% del totale dei residenti, con un incremento del 8,8% rispetto al 2009. I dati resi noti oggi dall’Istat (scarica qui il PDF con tutti i dati) non generano certo meraviglia. A fare invece discutere semmai è una certa ottusità nel considerare quello che ancora viene definito, un “fenomeno” e che invece è solo un normale ciclo storico-sociale. L’Istituto nazionale di statistica specifica che, fra gli stranieri residenti nel nostro Paese, i minori sono 932.675, il 22,0% del totale. Circa 573 mila sono nati in Italia, mentre gli altri sono arrivati nel nostro paese per ricongiungimento familiare. I minori nati in Italia rappresentano la “seconda generazione”, stranieri in quanto figli di genitori stranieri, ma non immigrati. Eppure, molto spesso, questi ragazzi vengono trattati come estranei, diversi, indesiderati.
Proprio oggi abbiamo ricevuto la testimonianza di una ragazza figlia di nigeriani nata in Italia. Una voce ed esperienza più che mai diretta di cosa vuol dire crescere in un Paese e non riuscire spesso a farne parte in modo totale.
Sono una ragazza di 28 anni, lavoro nel ramo finanziario di una banca e non ho un’indipendenza tale da potermi permettere di vivere da sola. Nella mia vita ci sono dunque alcuni elementi comuni a quella di molti giovani; in realtà c’è un neo che fa la differenza: sono nera.
La mia negritudine, come quella di molti altri, è una questione largamente dibattuta ma soprattutto è una concezione riservata agli adulti. Non si considera mai l’aspetto infantile della questione.
Com’è l’esperienza dei bambini stranieri e, soprattutto, neri in un paese che li considera immigrati?
Vi racconto la mia storia.
Nata da genitori nigeriani, ho vissuto fin dall’adolescenza in un piccolo paesino dell’hinterland veneziano e finchè le mie relazioni si limitavano al nucleo familiare non ho incontrato grandi difficoltà.
Ma quando ho iniziato a frequentare la scuola sono cominciati i problemi. E così, le domande ingenue, curiose e talvolta perfide dei miei compagni di scuola mi hanno portato a chiedere: “Mamma perché sono nera?”.
La verità è che non è facile accettarsi se i tuoi coetanei chiedono il motivo e non accettano la tua diversità. Una diversità che tra l’altro si riconduce solo ad un dettaglio, il colore della pelle. A quel punto la sensazione di non essere nel posto giusto, ovvero con i tuoi simili, ti pervade.
Certo spiegare ai bambini con parole chiare e semplici concetti come razza, razzismo, intolleranza, non è facile. Ma la domanda era innocente e spontanea: “Perché quella bimba è nera?”
È servito del tempo per accettarmi e farmi accettare anche perché, (in)consciamente, sono scesa a compromessi con me stessa e con la mia condizione di straniera: parlare solo la lingua del territorio in cui mi trovavo e conoscerne la cultura e le tradizioni iniziando un viaggio alla scoperta di quanto fossi italiana, puntando sulla cucina tipica, l’abbigliamento i comportamenti. Così però mi allontanavo sempre più dalle tradizioni e dalla cultura dei miei genitori. Stavo crescendo da occidentale.
Solo dopo la maturità, grazie a diverse esperienze e all’incontro di numerose persone interessate agli stranieri, ho riacquistato la voglia di riappropriarmi del mio status di straniera, sebbene all’anagrafe non lo sia visto che sono nata in Italia, e di iniziare un nuovo viaggio alla riscoperta delle mie origini e della bellezza della mia diversità. Indubbiamente questo percorso è stato agevolato anche dall’aumentare della presenza di stranieri che ha assunto un’incidenza rilevante nei vari settori del Paese.
Il mix di italianità e di origini straniere mi ha reso oggi quella che sono: una donna nera con tanta voglia di indipendenza, di libertà e di conoscere il mondo oltre i confini italiani. Una donna che ha imparato a sentirsi a casa laddove la vera e propria casa non c’è.
Quella di Pamela è una situazione che rispecchia quella di molti altri ragazzi nati in Italia o arrivati molto piccoli insieme ai genitori. Ragazzi che, al contrario dei loro coetanei, italiani “di diritto”, devono affrontare problemi come la cittadinanza o il permesso di soggiorno. E vivere in una continua precarietà psicologica e sociale.
Nel tentativo di confrontarsi su problemi e necessità comuni c’è chi ha cominciato a “fare rete” e creare delle associazioni o luoghi di incontro dove si possono ricevere informazioni utili (su come ottenere la cittadinanza italiana ad esempio), condividere esperienze e suggerimenti. È il caso di Rete G2 (che sta per Seconde Generazioni). Blog di notizie e incontri fatto da e per giovani “stranieri” residenti in Italia.
Eppure, come sottolinea chiaramente il documento dell’Istat pubblicato oggi: “Senza l’apporto dei cittadini stranieri, l’Italia sarebbe un paese con popolazione in diminuzione […] In particolare, il saldo naturale della popolazione straniera (+72.341 unità) compensa in buona parte il saldo naturale negativo dei residenti di cittadinanza italiana (-95.147 unità)”. Non solo: sono le donne immigrate che consentono all’Italia di non scendere al di sotto del tasso di natalità. Come riporta l’ultimo dossier della Caritas, se nel 1993 i nati da entrambi i genitori stranieri erano stati 7.000, nel 2008 sono nati 72.472 bambini di genitori stranieri. Bambini che però in Italia ci si ostina a chiamare stranieri o immigrati.
Cosa pensano questi bambini del Paese in cui sono nati e che a volte li tratta da estranei? Quale futuro li aspetta? Non molto tempo fa sono usciti due volumi che, da due angolazioni diverse, affrontano queste due questioni. Uno è “Nuovi italiani” in cui esperti analizzano il ruolo che hanno – e che avranno in futuro – le seconde generazioni.
L’altro è “Italiani per esempio” scritto da un maestro elementare, Giuseppe Caliceti.
Eccone un breve estratto:
Quando un bambino nasce la madre trasmette i colori: se lei ha la pelle nera nasci nero, se lei ha la pelle bianca nasci bianco, se invece la mamma ha la pelle nera e il padre la pelle bianca nasci contaminato, ma non vuol dire essere inferiore, perchè tutti siamo uguali.
Omar, 9 anni, Marocco
Vive la mixité!