Se in Italia si discute su quanto possa essere lecito o addirittura “normale” per le donne prostituirsi per ottenere un seggio in Parlamento, ci sono paesi al mondo, come l’Afghanistan, dove le donne rischiano la propria vita pur di fare la propria parte e cercare di cambiare le cose.
Domani, 18 settembre, è giorno di elezioni in Afghanistan. La seconda volta che si vota per il rinnovo del Parlamento dalla caduta della dittatura dei talebani, nel 2001. Ma nelle strade e nelle case non c’è aria di festa, tantomeno di ottimistica attesa. Soprattutto negli uffici e nei luoghi di ritrovo, dove le donne che hanno avuto la forza e il coraggio di candidarsi stanno affrontando queste ultime ore di campagna elettorale.
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Il rischio che chi ha deciso di candidarsi ha dovuto affrontare è stato altissimo, ma a pagare le conseguenze derivate da mancanza di sicurezza e estremismi mai placati sono soprattutto le donne. Alcune hanno provato a denunciare alle autorità le costanti minacce a cui sono state sottoposte ma, come dimostra questa testimonianza raccolta da Amnesty International, in Afghanistan il confine tra lo Stato e i cosiddetti ribelli è spesso inesistente. Esprimere il proprio voto, proporsi con nuove idee, farsi promotori del proprio futuro, in Afghanistan è un lusso che chi si concede sa di dover probabilmente pagare caro. Tanti funerali celebrati in nome della libertà. Tra questi coloro che si erano esposti per sostenere una candidata donna.
Osservatori della Free and Fair Election Foundation of Afghanistan hanno definito quella afghana la più violenta campagna elettorale dell’ultima decade . E basta leggere i dati e le analisi rilasciati in queste ultime settimane per rendersi conto che le cose non potevano andare peggio di così in un paese in cui ancora nessun governo o presidente o controllo internazionale, riescono a garantire i diritti umani più elementari.
Secondo la Costituzione afghana 68 dei 249 seggi in Parlamento sono riservati alle donne. 68 coraggiose che forse temono la morte, ma ancora di più temono di lasciare il paese e il futuro nelle mani sbagliate. Qualcuna ci aveva creduto e, nonostante fosse riuscita ad entrare in Parlamento nella tornata elettorale del 2005, oggi ha rinunciato alla candidatura ed esprime una pessimistica visione del domani. Ma altre dopo di lei portano avanti la stessa battaglia.