Colpi di scena e nuovi conflitti per la Casa Bianca
Prime batoste giudiziarie per il neo Presidente. Venerdì la Corte d’Appello di San Francisco ha confermato il blocco del decreto urgente anti-immigrazione (meglio noto come “Muslim ban” o nella versione soft “Travel ban“), confermando la decisione presa la settimana scorsa dal giudice federale di Seattle. Mentre la Casa Bianca sta valutando le prossime mosse (revisione del testo, come sembra ora più probabile, anziché il ventilato ricorso alla Corte Suprema), non mancano le reazioni da una parte e dall’altra – soprattutto a colpi di tweet sarcastici.
Poche ore prima e sempre su Twitter, Trump aveva attaccato la catena di negozi Nordstrom, rea di aver disdetto la vendita della linea di abbigliamento prodotta da Ivanka Trump, come avevano già fatto altri rivenditori. Ma la sua consigliera Kellyanne Conway, durante un’intervista su Fox Tv, si è prodotta in uno “spot gratuito”, invitando invece a boicottare tali aziende e “comprare gli abiti di Ivanka”. Secondo molte fondi, una palese violazione delle norme etiche federali. Così, oltre alla valanga di commenti online d’ogni tipo, è già scattata la formale richiesta del deputato Democrat Elijah Cummings affinché la Camera esamini il comportamento di Conway per un eventuale rinvio a giudizio.
Un giornata decisamente imbarazzante per la Casa Bianca, con inattesi colpi di scena e ampi effetti boomerang sui media e sull’opinione pubblica – come sottolinea un puntuale editoriale di Andrew Sullivan (dal significativo titolo di La follia di Re Donald, usato anche da un altro intervento più generalista, ma non certo meno preoccupato).
In questi giorni si torna anche a parlare di James Baldwin (1924-1987), saggista, drammaturgo e attivista pro diritti civili, per l’uscita del documentario I Am Not Your Negro, basato su un suo libro incompiuto e in corsa per l’Oscar. Oltre a riportare in primo piano l’impegno negli anni ’60 di figure quali Malcom X e Martin Luther King Jr., oggi il suo pensiero torna d’attualità soprattutto per aver anticipato (se non previsto in senso stretto) “l’inevitabilità di un instabile demagogo che conquista la posizione numero uno in una nazione caratterizzata, fin dalla sua nascita, dal razzismo e dalla supremazia dei bianchi, e dai tentativi falliti di eradicarli in maniera definitiva”.
E come sottolinea anche un editoriale del Boston Globe, le questioni razziali rimangono ancor’oggi in primo piano, pur se l’Amministrazione Trump sembra ignorarle del tutto. Magari fino al prossimo scoppio di tensione. Significativo però l’episodio di qualche giorno al Senato. Il cui presidente non ha esitato a togliere la parola a Elizabeth Warren mentre leggeva una lettera del 1986 in cui Coretta Scott King criticava apertamente le posizioni anti-neri di Jeff Sessions, allora giudice federale e oggi Procuratore Generale. Ciò ricorrendo a un’oscura norma introdotta nel 1902 per impedire ai parlamentari di “ascoltare cose talmente orrende sul loro operato da farli andare su tutte le furie e prendere a pugni qualcuno in aula“. Scusa ridicola che neppure mostra considerazione o rispetto per il Black History Month: febbraio è il mese ufficialmente dedicato a celebrare storia e cultura degli afro-americani. Immediate le proteste popolari e i rilanci online, soprattutto via Twitter con l’hashtag #ShePersisted (divenuto subito ‘trending’), mentre un intervento su The Nation lo definisce un “atto di razzismo sistemico“.
Né meno bollenti sono gli altri problemi sul tappeto. Come la rinnovata mobilitazione contro la Dakota Access Pipeline, visto l’annunciato ripensamento del U.S. Army Corps of Engineers per far passare le condutture sotto il fiume Missouri – diversamente da quanto deciso il 4 dicembre scorso sotto l’Amministrazione Obama. Da allora 4-500 membri della Standing Rock Nation sono rimasti accampati in zona proprio in vista del voltafaccia federale, mentre solo la scorsa settimana la polizia ha operato circa 70 arresti (in totale sono stati oltre 700). Intanto un sito-calendario in aggiornamento continuo (#NoDAPL 2017 Action Hub) raccoglie le proteste in programma nei prossimi giorni/settimane, e si lavora a una mega-manifestazione a Washington per il 10 marzo – sperando di attirare folle oceaniche come per la recente Women’s March.
Preannunciando anche le immediate contro-azioni legali, Dave Archambault II, responsabile dello Standing Rock Sioux Tribal Council, ha ribadito ai microfoni di DemocracyNow!:
Il nostro sistema legislativo è stato violato per l’ennesima volta. Le norme federali non vengono rispettate. Né lo sono i trattati con le nostre tribù. E ciò testimonia il totale disprezzo per l’ambiente, per quello che tiene in vita la gente. È triste e pericoloso. Ma dobbiamo alzare la voce. E farci sentire da coloro che prendono queste decisioni. Perché sembra che si stia cercando di velocizzare un procedimento del tutto illegale.
L’opposizione sta facendosi strada pure nella Silicon Valley, con un documento fortemente contrario al “Muslim ban“ co-firmato da un centinaio di aziende hi-tech, tra cui Apple, Netflix, Google e Facebook (oltre alla Levi-Strauss). E oltre a comunicati aziendali interni ed esterni per riaffermare il pieno appoggio a impiegati potenzialmente colpiti da quell’ordine esecutivo, Airbnb ha perfino diffuso un costoso spot TV in tal senso durante il Super Bowl di domenica scorsa. E in vista di possibili rischi e censure per la libertà d’espressione online, crescono gli interventi pubblici a tutela di quella che pareva un’altra conquista intoccabile della democrazia odierna, la Net Neutrality. Secondo i senatori Democrat, tocca pur sempre ai cittadini respingere questi attacchi e intanto si preparano a dar battaglia al nuovo responsabile (Repubblicano) della FCC che vorrebbe abolirla senza problemi.
Da segnalare infine un veemente editoriale del settimanale tedesco Der Spiegel centrato sul ruolo della UE in questo nuovo scenario globale. Ruolo su cui già il titolo lascia pochi dubbi (“L’Europa deve difendersi contro un Presidente pericoloso”), per poi paragonare Trump a Nerone, “l’imperatore che ha distrutto Roma” e incitare quindi “la Germania e l’Europa a predisporre le necessarie difese economiche e politiche”. Per poi concludere con un appello all’unità europea:
È giunto il momento d’impegnarci per quello che è importante: la democrazia e la libertà, l’Occidente e le sue alleanze.
Più facile a dirsi che a farsi, viste le gatte da pelare che affliggono pure l’Europa. Intanto resta da vedere se e quali risultati concreti otterrà l’attivismo portato avanti dall’altrAmerica nelle sue varie forme.