Divided States of America. Una definizione che fotografa al meglio lo stato odierno della maggiore potenza mondiale alle prese con l’insediamento della nuova Amministrazione. Oltre ad essere l’azzeccato titolo di un’ampia inchiesta-documentario (4 ore totali) della serie Frontline, andato in onda nei giorni scorsi su PBS, la rete tv pubblica (comunque disponibile online, caldamente consigliato).
Ripercorrendo in dettaglio gli otto anni di Obama alla Casa Bianca, il documentario illustra le profonde spaccature politiche, sociali e umane che continuano a definire l’universo a stelle e strisce. Dalle acerrime lotte partitocratiche in quel di Washington all’emergere della rabbia populista su entrambi i fronti alle tensioni razziali irrisolte che sconvolgono per l’ennesima volta tutto il Paese. Questa polarizzazione, spinta lentamente dalla base repubblicana (il Tea Party) nell’era Obama, ha portato a un quadro che è poi evoluto nell’inatteso successo di Donald Trump. E visto dall’interno, il quadro odierno non può non suscitare preoccupazione e pessimismo per i prossimi quattro anni, con inevitabili strascichi poco sereni per l’intero pianeta.
Proprio in vista di questo cambiamento radicale, la settimana è stata caratterizzata dallo spazio riservato, a livello mediatico e nell’opinione pubblica, al commiato del Presidente uscente. Le cui dichiarazioni, interviste (in particolare quella del magazine-tv 60minutes) e l’ultima affollata ed emotiva conferenza-stampa ne hanno ribadito l’autenticità, il rispetto e la serietà – ben al di là delle ovvie magagne del suo operato o delle simpatie (o antipatie) personali.
Lo hanno confermato pure i tanti rilanci di apprezzamento su Twitter, oltre al segnale importantissimo del perdono per la whistleblower Chelsea Manning (che potrà uscire dal carcere nel maggio 2017), e del meno noto attivista per l’indipendenza di Puerto Rico Oscar López Rivera, incarcerato da 35 anni per lo più in isolamento – pur tra le ovvie proteste del fronte repubblicano e conservatore.
A proposito di proteste, sono di livello oceanico quelle che si preannunciano per l’insediamento del neo-Presidente. Si prevedono manifestazioni in tutti i 50 Stati Usa (da metropoli come Los Angeles, Boston e Chicago a cittadine quali Topeka, Nashville, Des Moines) e in almeno 32 Paesi, mentre solo nella capitale Washington DC il National Park Service ha già rilasciato permessi per 25 cortei di diverse organizzazioni che si terranno in contemporanea con la cerimonia ufficiale, venerdì 20 gennaio. Ciò ovviamente in aggiunta all’attesa Women’s March on Washington di sabato 21 (in arrivo oltre 250.000 persone e 1.200 autobus), che ha ispirato almeno altri 300 eventi analoghi (sister marches) sparsi nel mondo.
La piattaforma con le policy ufficiali dell’evento avanza richieste specifiche a sostegno dei diritti riproduttivi e della salute per le donne, della riforma dell’immigrazione e a tutela dei lavoratori, proponendo così una “visione radicale e progressista per la giustizia in America, ponendo la marcia nel contesto dei movimento per l’uguaglianza di ieri e di oggi“, come si legge nel documento.
Non a caso la manifestazione conta l’adesione di organizzazioni assai diverse tra loro, quali Planned Parenthood, e Amnesty International, #BlackLivesMatter e NAACP, e pur con gli immancabili screzi interni è riuscita a raccogliere un ampio fronte di “dissidenti e ribelli” – superiore alle presenze per la cerimonia ufficiale. Né mancano gli appelli a scioperare, boicottare e “non comprare nulla” il giorno dell’inaugurazione:
Lanciamo il ‘Sick Out Day’ [darsi malati] nazionale per dimostrare concretamente l’opposizione all’agenda Trump fin dal primo giorno.
Ancora, almeno 60 deputati democrat diserteranno la cerimonia ufficiale, a sostegno del collega John Lewis, preso di mira nei giorni scorsi dai tweet caustici e offensivi di Trump (“solo parole e niente fatti”), avendo affermato di disconoscerne la legittimità come Presidente. Il quale sembra però dimenticare che Lewis (77 anni, al Congresso dal 1987) è un leader riconosciuto dei diritti civili, ha manifestato al fianco di Martin Luther King Jr. ed è stato selvaggiamente pestato dalla polizia durante la storica marcia di Selma (1965).
Tutte questioni su cui ovviamente Donald Trump e la nuova élite super-miliardaria al potere sta facendo e farà finta di niente. Preferendo piuttosto lanciare moniti al Vecchio Mondo: l’EU è destinata a frantumarsi sull’onda della Brexit, l’attuale Nato è obsoleta e i profughi sono pericolosi, fino a suggerire possibili limitazioni all’ingresso degli europei in USA. Ennesime boutade per creare nuovi polveroni oppure posizioni da prendere seriamente o ancora, minacce velate di intrusioni/manipolazioni negli affari interni (ed elezioni) delle nazioni oltreoceano?
Mentre leader e media europei, superato un certo shock iniziale, hanno risposto per le rime, in Usa non si sono avute grosse reazioni, almeno per ora. Da segnalare tuttavia un preoccupato commento del direttore della testata web progressista Talking Points Memo, dal titolo significativo “Il piano di Trump (e Putin) per dissolvere la UE e la Nato”. Questa la conclusione:
Secondo me, Trump e Bannon sovrastimano parecchio il relativo potere economico dell’America nel mondo. Ma è chiaro che vogliono creare un ordine mondiale fondativo composto da Usa, Russia e gli Stati che vorranno allinearsi con loro. La UE e la Nato sono soltanto degli ostacoli verso quest’obiettivo.
Resta da vedere, appunto, se e come si svilupperanno simili confronti. Intanto l’AltrAmerica si prepara a un’opposizione mai vista, variegata e spontanea nei confronti di un Presidente inatteso e controverso. Incluso un tweet dell’ultimora in cui il regista Michael Moore annuncia il lancio dei “Primi 100 giorni di resistenza”:
Come nota di chiusura, Trump sta conquistando l’indice di gradimento più basso della storia Usa prima dell’investitura: gli ultimi sondaggi lo danno intorno al 40-44% (Obama era al 79%, George W. Bush al 62%). Forse molti che l’hanno votato per i motivi più disparati si stanno finalmente risvegliando dall’incubo? E su queste basi, sarà forse possibile riunificare gli odierni Divided States of America?
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Donald Trump detta la linea, il resto del mondo (in)segua! E’ il caso di rimettersi alacremente al lavoro a Bruxelles (ed eventualmente a Strasburgo) per arginare il ciclone Trump. Il nuovo Presidente degli Stati Uniti, infatti, dal 20 gennaio detterà la sua ricetta che assegna al “resto del mondo”, Europa compresa, un posto da semplice spettatore al cospetto degli Stati Uniti impegnati a tradurre in pratica i dettami del protezionismo assoluto (tutte le aziende che intendono vendere negli Stati USA devono produrre in loco i loro prodotti, pena pesanti dazi all’entrata).
Appare poco probabile, d’altro canto, che Donald Trump mediti a sufficienza sulle parole del Presidente della Repubblica cinese Xi Jinping, pronunciate a Davos, in occasione del World Economic Forum: “Dobbiamo dire no al protezionismo. Perseguire il protezionismo è come chiudersi dentro una stanza buia. Vento e pioggia possono pure restare fuori, ma resteranno fuori anche la luce e l’aria. Nessuno uscirebbe vincitore da una guerra commerciale”.
Ma si sa, gli eventi contingenti sovente inducono a percorrere strade insolite ed inaspettate! Questo accade a livello familiare ed anche a livello di Stati Sovrani!
Tra i tanti personaggi della storia, il buon Napoleone Bonaparte avrebbe molto da insegnare a proposito, ripensando in particolare alla sua sfortunata campagna di Russia del 1812!
be’, per quanto potente, è impossibile che un solo uomo possa “dettare la linea al resto del mondo”, neppure feroci dittatori e incalliti oligarchi ci sono riusciti finora, per cui c’è speranza 🙂 intanto ecco livestreaming della mega-manifestazione (women’s march) ora in corso a washington (oltre 300.000 presenze), e sicuramente in futuro ci saranno molti altri eventi simili nel mondo (si spera anche in italia): https://t.co/FbdYcfXqkv