“I tentativi di rappresentare il Pakistan in maniera differente dalla realtà devono essere contrastati attraverso la legge”. Con questa forte presa di posizione, il ministro della Giustizia, Rana Sanaullah, ha promosso l’approvazione della prima legislazione rivolta concretamente a contrastare il fenomeno della violenza sulle donne nel Punjab, la provincia più grande del Paese.
“La violenza domestica è un problema globale”, ha continuato Sanaullah, ma in Pakistan la disparità di genere è particolarmente pronunciata. Secondo i dati diffusi dalle Nazioni Unite, si tratta infatti di un Paese a “low human development”, al 147esimo posto su 188 per quanto riguarda lo sviluppo umano rilevato al 2014. Secondo quanto rilevato da Aurat Foundation – ONG locale attiva nella lotta contro le discriminazioni di genere – ogni giorno sei donne vengono rapite, quattro assassinate, quattro violentate e tre si suicidano. La situazione è particolarmente critica nella regione del Punjab: sono stati segnalati più di 5.800 casi di violenza di genere in un anno (dati 2013). Si tratta del 74% dei casi totali registrati in Pakistan in quell’anno.
Era originaria in un distretto federale del Punjab Qandeel Baloch, la 26enne seguitissima sui social, brutalmente assassinata lo scorso agosto da suo fratello proprio perché “si mostrava troppo” su Instagram e Facebook. Incastrata da un matrimonio combinato quando era giovanissima, Qandeel era una donna indipendente. Ha divorziato dall’ex marito dopo un figlio e stava costruendo una sua vita finalmente autonoma fino al momento in cui la violenza ha raggiunto il suo apice. Si è trattato di un caso di delitto d’onore – tutti quegli efferati omicidi realizzati da padri, figli, fratelli che vanno a colpire un comportamento “trasgressivo” della donna – e purtroppo non è un caso isolato.
La violenza di genere in Pakistan ha le sue radici profonde nella società: fortemente patriarcale e strutturata in maniera rigidamente gerarchica. Il ruolo della donna è marginale, funzionale alla riproduzione e destinato a sopportare varie forme di discriminazione. La mancanza di consapevolezza dei diritti di ciascuno e la cristallizzazione della tradizione ha fatto sì che la situazione continuasse a peggiorare, anno dopo anno.
Proprio per offrire una garanzia alle donne pakistane ed evitare nuove tragedie come quelle di Qandeel è nato il Punjab Women’s Protection ActPunjab Women’s Protection Act, entrato in vigore lo scorso 25 febbraio. Tuttavia, sin dai primi giorni, ha attirato le critiche e le ire delle frange più tradizionaliste della popolazione e dei chierici islamici. L’opposizione di destra sostiene che la legge è contraria alla Costituzione e alla Sharia. Temono che essa porterà ad un aumento esponenziale dei casi di divorzio e alla conseguente distruzione dei valori familiari.
Il portavoce del partito religioso Jamiat Ulema-e Islam (JUI) ha riconosciuto che in Pakistan la violenza domestica è un problema reale, ma ha anche detto che “le clausole presenti in questa legge porteranno ad una spaccatura della società”. Il Consiglio dell’Ideologia Islamica, un organo consultivo che ha una grande influenza, si è spinto anche oltre affermando che la legge è “anti-islamica” e che rischia di trasformare il Pakistan“di nuovo in una colonia Occidentale”.
Di fatto, il Punjab Women’s Protection Act promuove un sistema di tutela su più di livelli. Definisce il concetto di violenza in maniera ampia ed inclusiva come: “qualsiasi offesa commessa contro una donna, inclusa la violenza domestica, gli abusi emotivi, psicologici e verbali, l’abuso economico, lo stalking, il cybercrime”.
Secondo la ricercatrice Menaal Munshey, ciò che rende questa legge particolarmente innovativa per il contesto regionale è il sistema di controllo e applicazione che prevede. Entro due mesi dall’approvazione avrebbero dovuto essere istituiti dei comitati di protezione delle donne a livello locale, centri antiviolenza e ricovero per le vittime di violenza dove trovare sostegno sanitario, psicologico e legale. Il tutto in un unico luogo dove la donna vittima di violenza potrà rivolgersi, senza perdersi nel dedalo di uffici e burocrazie. È stato attivato, anche, un numero verde gratuito, attivo tutti i giorni per ricevere le denunce.
Sono passati sei mesi dall’approvazione del Punjab Women’s Protection Act e, nel frattempo, in Pakistan l’assassinio di Qandeel Baloch ha spaccato l’opinione pubblica del Paese, il Consiglio dell’Ideologia Islamica ha proposto una legge secondo la quale picchiare “leggermente” la propria moglie sarebbe legale, decine di attiviste hanno reagito lanciando la campagna #TryBeatingMeLightly, le autorità del Punjab hanno istituito un primissimo meccanismo di tutela. Si tratta di una non ben definita autorità con un Direttore generale autonomo che avrà il compito di supervisionare l’apertura dei centri anti-violenza e la selezione del personale che vi lavorerà.
Si tratta solamente di un primissimo passo verso l’applicazione integrale della legge che dovrebbe, a sua volta, innescare un effetto domino per cui la tutela dei diritti delle donne si estenda dal Punjab al resto del Pakistan. Del resto, come osserva l’International Crisis Group, anche le leggi migliori offriranno una protezione minima finché la visione della donna nella società resterà condizionata da pregiudizi. Eppure il Governo di Lahore non farebbe altro che rispettare i propri obblighi internazionali garantendo l’eguaglianza di genere. Il Pakistan è parte della Convenzione per l’Eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW): l’impunità di chi commette violenza sulle donne deve finire.
Il quadro resta drammatico e le violazioni dei diritti umani diffuse, ciò che sta mutando è il grado di consapevolezza di ciò a cui si ha diritto in molte donne pakistane. In questo senso è nuovamente la morte della social media star a risvegliare le coscienze. Un delitto talmente crudele che ha prodotto un senso di colpa collettivo in molti pakistani ancora non sensibili alla questione.
Il delitto ha gettato una nuova luce sulle contraddizioni della tradizione patriarcale e sulle disparità di trattamento tra uomini e donne. I gruppi femministi già attivi, come Girls at Dhabas, il Feminist Collective o il Women’s Democratic Front, hanno conquistato spazio e visibilità, lanciando una petizione per chiedere giustizia per Qandeel, divenuta presto simbolo di tutte le vittime silenziose di violenza. La petizione ha raggiunto migliaia di persone, pakistani che non potranno più dimenticare quello che accade nel loro Paese. Pakistani indignati, preoccupati, forse pronti a sostenere le battaglie delle attiviste perché leggi come il Punjab Women’s Protection Act diventino la norma.
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