La felicità possibile, investire sul capitale umano
[Traduzione a cura di Luciana Buttini, dall’articolo originale di William Davies pubblicato su openDemocracy]
Gary Becker, economista statunitense morto lo scorso anno, dovrebbe essere considerato uno dei più importanti pensatori dei nostri giorni. Infatti sin dagli anni Sessanta è stato un leader rivoluzionario alla facoltà di Economia dell’Università di Chicago e la sua influenza è stata molto più dilagante e acuta rispetto a ciò che solitamente si attribuisce agli economisti.
Laddove molti economisti di alto profilo come Jeffrey Sachs e Lawrence Summers arrivano ad analizzare in che modo vengono fatte le politiche pubbliche, l’eredità di Becker è stata più profonda e morale. In un certo senso, egli ha intuito come sono fatti gli esseri umani.
Becker è stato il pioniere di quella tendenza conosciuta come “imperialismo economico” – ovvero l’estensione dell’economia neoclassica in nuovi territori, che apparentemente non hanno a che fare con l’economia. Vale a dire ambiti come la famiglia e l’istruzione, che Becker ha analizzato usando il trasformativo concetto di “capitale umano”.
Oggi “capitale umano” è un termine piuttosto familiare e, come ha analizzato Andrew McGettigan, è stato un concetto fondamentale nel motivare le tasse universitarie nel Regno Unito. Eppure fin dall’inizio l’idea secondo la quale gli esseri umani siano un tipo di capitale è stata oggetto di numerose polemiche. Come Becker affermò in occasione della conferenza in cui gli fu conferito il Premio Nobel nel 1992 “fino agli anni Cinquanta, in generale gli economisti ipotizzavano che la forza lavoro era stabilita e non poteva essere aumentata“. La sua teoria di capitale umano cambiò tutto questo.
Quello che Becker voleva sottolineare era il fatto che le persone fanno differenti scelte di vita e queste scelte hanno un impatto significativo sui loro destini economici. Infatti egli ha affermato “nella teoria del capitale umano le persone stimano in maniera razionale i benefici e i costi delle attività, come l’istruzione, la formazione, le spese sanitarie, la migrazione e le abitudini che cambiano radicalmente il loro modo di essere.”
Come Michel Foucault ha osservato con grande lungimiranza nella sue conferenze sul neoliberalismo degli anni 1978-79 , la teoria di Becker ha fornito un modello sul quale gli individui hanno ritrovato le loro stesse vite. L’istruzione diventa di per sé un investimento strategico e le relazioni tra individui sono dei contratti economici, con costi e benefici per ciascuna parte. Inoltre siamo sempre più consapevoli che le nostre diete, i programmi di esercizi, il sonno e il riposo abbiano un’influenza sul nostro essere attraenti e su come in realtà lavoriamo. Le possibili conseguenze alla base del lavoro di Becker sono tanto esistenziali quanto economiche e infatti ciascuno di noi decide in che misura vuole essere apprezzato dal mondo esterno.
Ora anche le abitudini e i comportamenti della mente (o del cervello) possono essere aggiunti a questa lista di scelte. La consapevolezza, la disintossicazione digitale (o “Digital Detox”), la terapia cognitivo-comportamentale, il metodo dell’auto-aiuto e le tecniche di rilassamento il cui risultato è stato provato (come trascorrere più tempo vicino al fogliame) sono tutti fondati sull’idea che il capitale umano, secondo le parole di Becker, può essere ‘aumentato’. I sentimenti delle persone possono essere modificati, se non soltanto dal singolo individuo, con l’aiuto di un terapeuta, di una applicazione digitale, di strumenti tecnologici portatili o cose del genere.
Tutto questo diventa più evidente nello slogan della Psicologia Positiva secondo la quale la felicità è una ‘scelta’, un concetto ripreso nella campagna pubblicitaria della Coca Cola con l’hashtag #choosehappiness . È possibile che quest’idea possa offrire un conforto momentaneo a qualcuno che sta affrontando una leggera depressione. Tuttavia questo ha molte più possibilità di spronare coloro che hanno già la capacità di modellare le loro condizioni, ovvero le persone ricche e benestanti.
Per esempio, tutto questo rappresenta l’idea centrale del pensiero di Shaun Achor grande esperto di Psicologia Positiva, e guru della gestione d’impresa. Achor spiega alle imprese e agli individui che costruendo in maniera strategica la felicità, possono ottenere un ‘vantaggio’ sui loro avversari. Invece, il neuroeconomista Paul Zak sostiene che la felicità è un ‘muscolo’ che dobbiamo ricordarci di allenare regolarmente, per farlo funzionare perfettamente. Sostenuti da un crescente numero di applicazioni tra cui apparecchi che misurano l’umore e braccialetti che misurano lo stress, i sentimenti possono ora essere inclusi nei nostri programmi di allenamento.
Ciò che ci lascia perplessi in questa visione del mondo estremamente individualista è che in passato misurare la felicità era usato per perseguire un tipo di programma politico molto diverso. A livello nazionale nella metà degli anni Sessanta si tentò di misurare la felicità e presto questo diventò una tecnica importante all’interno del movimento degli “indicatori sociali”, che cerca di offrire un’alternativa ai concetti di valore materialistici e fondati sul mercato. Il lavoro dei ‘Think Tank’ inglesi (letteralmente ‘serbatoi di pensiero’) della New Economics Foundation dimostra la formidabile abilità che spesso caratterizza questo progetto.
Gli indici di felicità nazionale, che ora vengono raccolti da molte agenzie di statistica ufficiali, possono fornire una base importante per i critici politici e gli attivisti. Infatti sottolineano i danni psicologici che vengono causati da sistemi economici altamente competitivi, ingiusti e privatizzati. Detto questo, vale la pena riconoscere che spesso questi dati quantificano cose di cui avevamo sospettato a lungo. Come tutti sanno Freud aveva notato che “l’amore e il lavoro rappresentano i pilastri della nostra umanità“. Gli economisti della felicità hanno confermato che la disoccupazione e la mancanza di tempo da dedicare alla famiglia sono entrambi molto dannosi per il livello di soddisfazione della vita.
Come è possibile allora che un programma politico basato sulla trasformazione e sul progresso si sia trasformato in una nuova forma di gestione comportamentale? Il problema è che i calcoli e l’economia hanno la loro parte di colpa in tutto questo. Infatti riducendo la relazione tra lo spirito e il mondo a un rapporto quantitativo, la metrica del benessere offre la semplice scelta di come rincorrere il progresso: state cercando allora di cambiare il mondo o di cambiare idea? Il rapporto filosofico tra la soggettività critica e le circostanze oggettive appare come una bilancia da equilibrare, in cui il peso su entrambi i lati può essere regolato.
Inoltre ci sono tantissimi critici che utilizzano i dati riguardanti la felicità per chiedere un cambiamento all’interno della nostra politica economica. Il libro La Misura dell’Anima, di Richard Wilkinson e Kate Pickett, è il caso più importante su questo tema e si concentra sulla disuguaglianza. Gli psicologi come Tim Kasser hanno elaborato i loro strumenti di misurazione per dimostrare l’impatto negativo che hanno le culture materialistiche e competitive sul nostro benessere. Tuttavia questi sembrano essere una minoranza in diminuzione. Perché? La risposta ci riporta alla filosofia di Gary Becker.
Sia al centro del pensiero neoliberale sia nella cultura americana c’è la convinzione che le questioni centrali di organizzazione politica hanno già ricevuto una risposta. Pertanto vanno oltre la sfera delle trasformazioni politiche o dei dibattiti democratici. Proprio come la Costituzione statunitense cerca di offrire le ‘regole del gioco’ che ogni americano deve rispettare, così i pensatori neoliberali hanno cercato di consolidare il capitalismo del libero mercato come l’unico ‘gioco’ disponibile. Inoltre il neoliberale tedesco Franz Böhm, ha parlato perfino della creazione di una ‘costituzione economica’. Infatti chiunque nel mondo può vincere o fallire, ma per farlo, bisogna prima accettare che il gioco di per sé resti stabile.
In questo contesto, la questione della trasformazione politica o economica diventa un qualcosa che respinge in maniera efficace l’individuo. Perciò premesso che il capitalismo non può essere trasformato per soddisfare i bisogni umani, gli uomini dovranno trasformare loro stessi per andare incontro ai bisogni del capitalismo. Grandi esperti come Achor o Zak ci offrono questa filosofia con un viso ottimista e sorridente che dice: Ho cambiato me stesso, e anche voi potete farlo!
Tuttavia nell’oscuro universo dei programmi di assistenza pubblica che prevedono prestazioni di lavoro da parte degli assistiti, questo assume una dimensione più punitiva. L’idea di ‘capacità imprenditoriale’ può evocare le visioni eroiche di Steve Jobs, ma per molte più persone ciò significa essere interamente riconducibili alle oscillanti richieste del capitale, ad un livello molto fondamentale e personale. Quando le professioni come il giornalismo vengono presentate con la parola ‘imprenditoriale’, questo significa una sola cosa: dare di più o morire.
Le speranze politiche devono continuare a essere riposte nell’idea secondo la quale le condizioni sociali ed economiche sono mutevoli e, che in proporzione, non spetta a noi adattare la nostra mente, gli stati d’animo e il corpo alle circostanze che ci sovrastano. Il problema è che questo argomento può essere facilmente fatto passare come una forma di idealismo, che – in contrasto con i sostenitori della “cura della parola”- non prende sul serio le sofferenze quotidiane. La critica della psicologia positiva può finire per essere rifiutata in quanto tesi della negatività priva di senso.
Il modo per resistere a tutto questo è insistere su una politica comprensione di felicità e infelicità, in cui le persone sono autorizzate ad esprimersi e fornire spiegazioni riguardanti i loro sentimenti. Ciò significa che alcune forme di infelicità – come sentimenti di ingiustizia o di rabbia – necessitano di essere non discusse ma ascoltate. Questo richiede un’attenta cura e lo sviluppo di istituzioni che possano facilitare l’ascolto. La felicità è benvenuta nella nostra vita, a patto che questa non richieda alle persone di “cambiare radicalmente il loro modo di essere”.