Siria, Arte come Resistenza per contrastare i racconti del potere
[Nota: questo articolo è stato scritto da Sara Verderi, ricercatrice indipendente e traduttrice laureata in Lingua e Letteratura Araba all’Università di Bologna. La sua ricerca si focalizza sulle forme di resistenza artistica nella Rivoluzione Siriana. Nel 2012 ha partecipato come relatrice alla Conferenza “Donne, Cultura e la Rivoluzione Egiziana del 25 gennaio 2011” organizzata dall’Università di Manchester con un paper dal titolo “Donne Siriane che scrivono la Rivoluzione”. Le foto pubblicate in questo articolo sono tratte da pagine Facebook dedicate ai temi in questione].
“Quello che so circa le vicende della nostra storia l’ho imparato per gran parte dalla narrativa” così scriveva lo scrittore turco Selim Ileri. Effettivamente la narrativa e le forme artistiche in genere hanno la capacità di trasmettere contenuti in maniera trasversale, andando al di là delle categorizzazioni ideologiche e dei diversi linguaggi che le informano. Così l’analisi delle forme artistiche, dalla letteratura alle arti visuali fino alla poesia di strada, prodotte della Rivoluzione Siriana del 15 marzo 2011 sono una lente interessante attraverso la quale osservarne gli sviluppi e le dinamiche. In un contesto come quello odierno apparentemente dominato dalla dimensione violenta e militare in cui la narrazione della rivoluzione e del conflitto in atto passa prevalentemente attraverso le analisi geopolitiche e le cronache degli avvenimenti, è interessante prendere in considerazione le forme di “Resistenza Artistica” che il popolo siriano ha messo in atto fin dall’inizio della rivoluzione.
È importante per due motivi: prima di tutto esse danno voce ai rivoluzionari siriani e alla popolazione civile intrappolata nei racconti dei regimi al potere, siano essi quello siriano o quello imperialista statunitense; secondo perchè ci consentono di tenere vivi gli ideali di libertà, dignità, giustizia sociale cioè la poetica di una rivoluzione popolare il cui manifesto programmatico è andato sempre più ostaggio della dimensione militare degli interessi politici ed economici internazionali.
La pretesa di dismettere la rivoluzione ad un complotto e la cappa pesante della propaganda del regime siriano durante il 2011, anno in cui mi trovavo a Damasco, mi ha reso cieca per alcuni mesi alle proteste e alle istanze rivoluzionarie del popolo siriano. Il culto della figura del presidente, la sua immagine onnipresente e soprattutto i cortei cittadini festanti che a lui inneggiavano il canto “mnahabbek” “ti amiamo” nel quartiere di Mezzeh e altrove, hanno offuscato la mente di molti. Solo col tempo ho scoperto che sotto all’autostrada di Mezzeh si trovava un carcere sotterraneo in cui erano detenuti scrittori, registi teatrali, oppositori politici… ho scoperto coi miei occhi l’esistenza di manifestazioni pacifiche contro il regime, ho ascoltato con le mie orecchie per la prima volta, un venerdì pomeriggio nel quartiere di Midan “il popolo vuole la caduta del regime!”.
Molte sono state le poesie sulla Rivoluzione nate nelle strade e nelle case durante questi due anni. La più famosa è sicuramente “Yalla irhal ya bashar” (video in basso) del poeta di Homs, Ibrahim Qashush assassinato dalle milizie armate irregolari, inneggiata da migliaia di persone anche nella famosa manifestazione di Hama del primo luglio 2011 e in molte altre occasioni. Questa poesia, musicata nella danza popolare siro-libanese e palestinese, la dabke, è un vero e proprio vademecum del rivoluzionario siriano, in essa è concentrata l’essenza della poetica della rivoluzione siriana, “noi non ti vogliamo, hai perso la tua legittimità, vai e portati via la tua cricca di corrotti dimettiti oh Bashar! – Bashar sei un servo degli americani, sei tu il terrorista, dimettiti oh Bashar!”.
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Anche l’arte murale dei Graffiti ha una rilevanza particolare nelle forme di resistenza artistica della Rivoluzione Siriana. Spesso usati quando scendere in strada diventa troppo rischioso, sono diventati un modo per trasmettere lo spirito della Rivoluzione anche all’estero, oltre che per comunicare lo stato di cose da città a città in Siria. Tra i Graffiti più diffusi quelli delle città di Kafer Nabel e Saraqib, situate nella provincia di Idlib uno dei quali, enfatizzando il carattere interconfessionale e inter etnico della Rivoluzione, recita: “Saraqib… è parte di un paese… un paese comprende tutti… siamo tutti cittadini… noi siamo la Siria… un solo sangue… una vita condivisa…insieme siamo più belli. Tu sei mio fratello e il paese è la sua gente”.
Anche il teatro e il cinema, sia all’estero che in patria hanno prodotto contributi notevoli che vale la pena menzionare. La serie di spettacoli di burattini dal titolo “Top goon: the diaries of a little dictator” ad opera del gruppo anonimo dal nome Masasit Mati, è un’esilarante satira della figura del dittatore della sua inettitudine e soprattutto del suo essere avulso dalla realtà. Nel primo episodio Bashar si sveglia in preda a un incubo: il popolo vuole la sua caduta e quella del regime; l’ufficiale militare accorre per rassicuralo spiegandogli che non esiste nessuna rivoluzione e che tutti lo amano, poi gli intima di tornare a dormire.
Infine, il film documentario di Yara Lee dal titolo “The Suffering Grasses: when elephants go to war it is the grass that suffer” è un racconto della sollevazione popolare attraverso l’esperienza diretta di coloro che ne hanno preso parte, del “prato” che soffre sotto il peso degli “elefanti” in guerra. La regista sceglie di parlare soprattutto attraverso le forme artistiche prodotte dai bambini siriani. Il disegno di un bambino, per esempio, raffigura un viso con una mano davanti alla bocca che gli impedisce di parlare; questo viso rappresenta il popolo siriano prima della rivoluzione mentre la mano simboleggia la sopraffazione del regime; poi, con la rivoluzione, la mano viene rimossa e finalmente la bocca può parlare, altri visi disegnati attorno, alcuni impauriti, altri arrabbiati altri ancora felici, rappresentano le diverse reazioni delle gente alla rivoluzione; successivamente appaiono due mani ammanettate che indicano la risposta repressiva del regime, tuttavia esso è comunque sorridente perchè anche se detenuto può finalmente parlare. Nell’ultimo disegno le mani del bambino sono libere e pronte per stampare le impronte digitali della libertà.
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