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La mercificazione dell’immagine femminile, dall’Italia al resto del mondo

In Italia negli ultimi anni si presentano puntualmente, anzi con una ciclica regolarità, scandali a sfondo pruriginoso che assumono sfaccettature e proporzioni inimmaginabili e per certi versi grottesche. Al di là delle implicazioni che derivano dai personaggi coinvolti, come ha spiegato molto chiaramente il prof. Rodotà a Otto e Mezzo per il caso di cui si parla in questi giorni, ciò che emerge sempre più prepotentemente è un messaggio che svilisce la donna, la mortifica, e che ritroviamo anche nell’immagine femminile trasmessa dai network TV.

Ben oltre le convinzioni personali, riesce difficile convivere con questo imbarbarimento mediatico che prosegue in un crescendo inarrestabile.

Di riflesso è cruciale andare alla ricerca di una spiegazione e di un antidoto a tanto decadimento. Chissà cos’è mancato o cosa abbia prevalso per offrire una TV di taglio così misogino che rigurgita immagini umilianti, proponendo con esasperante insistenza un appiattimento che omologa tutto negando quelle caratteristiche e quelle risorse intrinseche all’essere donna e riconducendo a una mercificazione dell’immagine femminile.

La memoria corre al libro-documentario di Lorella Zanardo, Il corpo delle donne, con uno stralcio del racconto particolarmente incisivo:

«Essere autentici probabilmente costituisce uno dei diritti fondamentali dell’uomo. Ma essere autentici richiede di saper conoscere i nostri desideri ed i nostri bisogni più profondi.

Sembra che il vero problema delle donne sia non essere più in grado di riconoscere i propri bisogni. Di conseguenza, com’è possibile essere autentici?

Abbiamo introiettato il modello maschile così a lungo e così profondamente da non sapere più riconoscere cosa vogliamo veramente e cosa ci rende felici».

Corpi imprigionati nella finzione televisiva. Eppure il mondo che conosco è traboccante di donne intelligenti, capaci, concrete, che si incontrano e si integrano con l’universo maschile in un gioco di equilibri affascinante, ogni giorno.

Donne invisibili, quale conseguenza di un’azione di assopimento delle coscienze svolta dai media come ha scritto Piero Cammerinesi qualche tempo fa in questo bell’articolo. L’antidoto? Riprendendo le sue parole: «…per difendersi dall’azione di intorpidimento delle coscienze attuata da buona parte dei mezzi di informazione è oggi costituito dalla capacità del singolo di ricercare autonomamente le proprie informazioni, giungendo autonomamente a spiegazioni o interpretazioni plausibili o veritiere dei fatti…»

Purtroppo, siamo in buona compagnia. Anche in Sudafrica, per fare un solo esempio, la donna-oggetto dilaga nella comunicazione mediatica. Un articolo di qualche mese fa sul blog Sangonet analizzava il fenomeno [allarmante] dell’uso massiccio di immagini femminili a sfondo sessuale nell’industria pubblicitaria sudafricana Buy a burger, buy sex: South African Media representations of Women. Ritratti femminili strumentalizzati i cui effetti negativi sulle donne sono considerati meno importanti del richiamo voyeuristico di una donna in abbigliamento succinto legato al prodotto.

Fra i molti esempi proposti c’è quello della pubblicità di Steers, una catena di fastfood, dove immagini femminili ad elevato contenuto sessuale vengono affiancate ad hambuger molto invitanti. «Potremmo dire che le donne vengono presentate come carne in vendita», è stato il commento di alcuni critici.

L’indagine non si fermava qui e citava uno studio di LaTour & Henthorne sugli effetti collaterali di questi messaggi così come vengono percepiti dal pubblico. I media svolgono un ruolo importante nel modo in cui la conoscenza viene prodotta e vissuta e possono offrire un substrato sul quale si innestano percezioni negative inquietanti.

Ma per tornare alla nostra realtà tutta italiana dove i media, e la televisione innanzitutto, da anni propongono uno stereotipo femminile che non riconosce alla donna dignità e rispetto ma che pone l’accento su elementi puramente estetici svuotandola da ogni contenuto e spersonalizzando la sua immagine, facendone una donna-oggetto inghiottita dal vortice della mercificazione, meglio chiudere con un buon auspicio — citando nuovamente Lorella Zanardo: «…che la tv rappresenti l’universo femminile nella sua molteplicità: noi non siamo solo soubrette e “grechine”».

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