Sempre a proposito di Sud-America e questioni dimenticate, anzi chiaramente manipolate a livello mediatico con conseguente distorsione del messaggio ‘politico’ per il grande pubblico, pratica che purtroppo non conosce confini o limiti di sorta, arriva più che puntuale quest’analisi dell’amico Gennaro Carotenuto sulla “malafede dei media [che] dà i brividi”, nel riportare in merito alla rampante ondata di violenza che colpisce il Messico come la Colombia. Il suo post ‘Violenza ovunque in America latina’ chiarisce innanzitutto le radici profonde dell’attuale situazione:
La triste realtà è allora che non bastano politiche inclusive, non basta la riduzione della povertà, non basta la crescita del welfare, non basta dare più scuola e più salute. Anzi, probabilmente, rispetto a società che anche in questi anni hanno peggiorato la situazione la differenza è minima. La triste realtà è che ci vuole molto di più di un governo popolare per domare questo scontro tra ricchezza e povertà, modernità e sottosviluppo, consumismo sfrenato e disuguaglianza, polvere bianca, alcool e corruttela infinita che colpiscono diversamente ma sconquassano tanto le classi dirigenti come quelle popolari in gran parte della regione. Senza scomodare l’uomo nuovo di Ernesto Guevara ci vorrebbe una società con meno alcool e droga in corpo, meno avidità, meno desideri inevasi, meno frustrazione violenta, meno ingiustizia, più possibilità per tutti.
Oltre a seguire materiali e dati utili per ragionare con la propria testa, occorre poi contestualizzare a livello globale le dinamiche in corso e porsi necessariamente in un’ottica di complessità, altri elementi che la grande informazione preferisce accuramente evitare per un varietà di motivi, facendo perfino finta che Internet non esista. E quindi le cause di tali ondate violente, insiste l’articolo, sono assai più articolate :
A qualcuno tocca ricordare che sono i trattati di libero commercio, le imposizioni delle regole dell’FMI all’epoca delle ripetute crisi del debito incubate per decenni, tutte scandalosamente favorevoli all’agroindustria, negli Stati Uniti o delle multinazionali, ad aver messo in movimento decine di milioni di contadini (12 nel solo Messico) liberi di scegliere solo tra emigrazione e narco. La crescita della violenza è colpa del modello economico, non certo quello socialista che esiste solo a Cuba, dove pure proprio l’infima rendita agraria è il punto algido della crisi, ma al quale anche i nemici dovrebbero sul piano della violenza e della gestione del territorio rendere l’onore delle armi. E’ colpa del modello soprattutto in quella versione estrema dell’imprenditorialità neoliberale che è il narcotraffico. Lo testimonia proprio il fatto che di sicuro i cambiamenti, pur evidenti, di 12 anni di Repubblica Bolivariana, non sono sufficienti a far dire che il socialismo (o l’esercizio retorico di Chávez di definirlo così) riduca la violenza.
Da cui se ne deduce che, nella flessibilità continua richiesta al concetto e alla pratica del ‘fare informazione’ in un villaggio globale degno di questo nome, è impossibile sfuggire a riflessioni assolutamente vitali e a tutto campo:
Armi da fuoco, proibizionismo per le droghe e troppa libertà per l’alcool, corruzione, classi dirigenti ignobili e persistente disuguaglianza sono i mali principali che stanno mettendo piombo nelle ali della rinascita latinoamericana. Educazione, uguaglianza e probabilmente una lunga battaglia antiproibizionista da combattere qui e negli Stati Uniti i rimedi. In questo, il referendum californiano sulla liberalizzazione della mariuhana è un test importante. Ma ci vorranno decenni per uscire da “la violencia”.
Vai all’articolo integrale: ‘Violenza ovunque in America latina’