Laura Sartori, già autrice del libro “Divario Digitale”, pubblica una breve riflessione sulla Rivista Il Mulino, dal titolo “Digital Divide all’Italiana”. L’articolo si apre con una definizione – «Il divario digitale indica la differenza tra chi ha e chi non ha accesso a Internet e, più in generale, alle nuove tecnologie dell’informazione (Ict)» – per poi sottolineare che l’accesso non è sufficiente per un uso efficace delle suddette tecnologie, ovvero per esercitare una completa “cittadinanza digitale”.
[Una simulazione di navigazione in modalità digital divide si può provare qui]
Gli scarsi risultati dell’Italia nella transizione verso la società dell’informazione, anche confrontati con gli altri Paesi Europei, non sembrano preoccupare il governo che non procede negli investimenti infrastrutturali, condannandoci inevitabilmente al declino economico, oltre che tecnologico. L’articolo è completamente condivisibile, inclusa la notazione che indica risultati diversi da regione a regione (l’Italia condivide con la Spagna il primato di avere maggiori disparità al suo interno nei tassi di innovazione).
Alla mancanza di investimenti infrastrutturali, agli sprechi (chi ricorda i 50 milioni di euro per il portale italia.it?), si aggiungono inciampi normativi: oltre al decreto bavaglio, che speriamo resti solo un brutto ricordo, abbiamo il decreto Pisanu («In nessun Paese occidentale, neppure dove sono più rigorose le misure contro il terrorismo, è prevista una normativa tanto restringente in materia di identificazione di chi accede a Internet da postazioni pubbliche», come si legge nella proposta di legge presentata a fine 2009 per la modifica del decreto) e che nonostante appelli e firme viene puntualmente prorogato ogni anno. Non è servita neanche l’ironia di Lawrence Lessig (ideatore delle licenze Creative Commons) durante il suo intervento a Montecitorio l’11 marzo a far sollevare qualche sopracciglio ai nostri deputati.
Serve davvero una scelta di campo, come auspica la Sartori — ma in un Paese che non considera urgente neanche la nomina del Ministro allo Sviluppo Economico il cui posto è vacante da quattro mesi, cosa ci si può aspettare?