28 Marzo 2024

Io, africana in Italia, tra sospetti, imbarazzi e voglia di capire

Mi dicevano che avrei fatto molta strada, ma non immaginavano che li avrei presi seriamente. Parole pronunciate nella vita di una giovane entusiasta, ma timida presentatrice radiofonica la cui formazione in realtà è quella di insegnante.

Era il 1997 e avevo appena iniziato a praticare questa professione in una scuola a Wa – capoluogo della Upper West Region in Ghana – quando la diocesi iniziò una radio comunitaria. La diocesi era molto attiva nel settore della comunicazione e aveva anche fondato una casa editrice che era già ben avviata.

Per quanto ne ho memoria ho sempre sognato di diventare una conduttrice radiofonica anche quando nemmeno sapevo cosa significasse. I miei genitori mi raccontavano che a casa passavo molto tempo guardando la radio e ascoltando i vari programmi. Ricordo quei tempi mentre immaginavo le persone che parlavano alla radio. Ricordo con molta nostalgia quando i miei sogni andavano oltre l’apparecchio radiofonico, oltre le storie che leggevo nei libri e quelle che mi venivano raccontate.

Quando vieni da un continente svantaggiato e un’area remota, dove le opportunità sono limitate e le necessità fondamentali diventano un lusso, il resto del mondo sembra molto distante e irraggiungibile, infatti puoi percepirlo solo attraverso libri e racconti. Le sole opportunità ad essere illimitate sono i sogni.

Di fatto il sogno di essere la persona nella radio piuttosto che quella di fronte ad essa si realizzò quando fui chiamata a lavorarci. Mi occupavo di programmi educativi, andavo nelle comunità rurali per ascoltare la gente, trasmettere le loro storie e dare voce alle loro domande, registravamo anche storie tradizionali e storie di vita in forma di dramma. Un’esperienza che mi ha dato molto e alla quale mi sono dedicata con passione. Sarà per questo che circa tre anni dopo mi è stata offerta una borsa di studio per andare a Roma e studiare Comunicazioni Sociali.

Era una mattina di primavera dell’aprile del 2000 quando sono arrivata. Partita con una grande emozione, provando a immaginare quanto mi attendeva. Le aspettative erano tante. Purtroppo, però, questi sentimenti erano destinati a dissolversi nel viaggio dall’aeroporto di Fiumicino a Roma. Ho avuto modo di vedere sporcizia e persone senza tetto.

Non avrei mai immaginato che mi si sarebbe presentata questa immagine in Europa, qualcosa di molto simile a quanto avevo lasciato poche ore prima. I racconti che avevo letto e ascoltato non avevano alcun indizio di questo. Descrivevano invece bellissimi ed enormi edifici, macchine di lusso, persone vestite elegantemente e mai una parola dei cartoni sui marciapiedi usati come materassi da persone indigenti, sulle mani tese dei mendicanti che ti seguono per pochi spiccioli.

Questo era un anno straordinario, l’anno del Giubileo, pieno di eventi ed emozioni, in una città importante come Roma dove c’è anche il Papa. Non avrei dovuto percepire nulla di familiare, le sofferenze come quelle della mia popolazione. Invece sentivo un senso di tristezza e di pietà che ancora oggi è per me difficile rimuovere.

Mi aspettavo il freddo e in qualche modo lo conoscevo per il periodo di harmattan delle mie parti, quindi, anche se non era inverno, per iniziare ero abbastanza equipaggiata con la mia calda giacca. In seguito avrei avuto tempo e modo di provare con difficoltà anche le bassissime temperature. La cosa che mi ha colta davvero impreparata è stato l’orario del tramonto che dalle nostre parti è regolarmente alle 18:00. Stanca del viaggio, dopo aver pranzato e fatto un po’ di chiacchiere vado a riposare. Quando mi sveglio guardo l’ora e vedo che sono le 7. Il sole era molto luminoso ed ero convinta di aver dormito fino al mattino seguente, mentre erano solo le 19:00. Solo dopo mi è stata spiegata la differenza.

Dovermi confrontare con una nuova lingua non l’ho trovato difficile, ma stimolante. Mi affascinavano l’espressività della lingua, che mi ricordava alcune delle lingue ghanesi, e la gestualità degli italiani che oltretutto mi aiutava ad imparare più velocemente. A proposito di lingua, una delle cose più difficili da far capire è che in Ghana non esiste la lingua ghanese, ma come in tutti i Paesi africani abbiamo diverse lingue locali – oltre a vari dialetti – e che spesso la lingua ufficiale è una lingua straniera e nel caso del Ghana è l’inglese.

Una sorpresa sono stati i pasti. L’idea che avevo del cibo italiano era solo quella della pizza e della pasta, quindi pensavo di sapere cosa aspettarmi, ma il mio primo pranzo in Italia mi ha lasciata sbalordita. Antipasto, primo, secondo e contorno, frutta e dessert, oltre al vino. Piatti e posate cambiati per ogni portata, che dalle mie parti sarebbe considerata un pasto completo in sé per una persona benestante. Amo il cibo italiano, ma quanto potevo mangiarne?

La grande opportunità che ho avuto è stata quella di vivere in un collegio e studiare in un’Università dal contesto internazionale, dove sono rappresentati tutti i continenti. Ho avuto modo conoscere l’Italia e gli italiani non solo direttamente, ma anche dal punto di vista degli altri. Ho avuto modo di confrontarmi con altre culture, vedere molte diversità e notare anche tante somiglianze con la mia. Un’esperienza unica e arricchente che mi ha fatto crescere, ampliare i miei punti di vista e che ancora oggi mi aiuta nelle relazioni con gli altri.

Tornata a casa mi sono confrontata con la duplice impresa di dover reintegrarmi nel contesto che avevo lasciato e nello stesso tempo mettere a frutto quanto avevo imparato in Europa nella situazione del posto. Sono entrata anche in contatto con altre radio comunitarie nel mondo con le quali ci si confrontava e si lavorava per cercare di dare più spazio e voce ai bisogni delle persone.

Poi in questi ultimi vent’anni – dopo quel giorno che sono per la prima volta uscita dal mio Paese, dal mio continente – nella mia vita c’è stato un continuo rincorrersi di idee e ideali, prospettive e opportunità, di situazioni che spesso si sono presentate inaspettatamente per aprire altre porte, di nuove sfide per raggiungere nuovi orizzonti. Nel lavoro, nella vita affettiva, in nuovi ambienti e contesti.

Vivere a Roma all’inizio degli anni Duemila era affascinante. Se solo avessi saputo che anni dopo, per qualche ragione, sarei tornata, avrei approfittato per godermi maggiormente la serenità di quel periodo. Avrei soprattutto apprezzato maggiormente il dolce sguardo degli anziani, come quello cortese dei giovani. Ma quei tempi sono ormai passati e adesso trovo differenti gli sguardi della gente.

Forse è il clima che si vive per il problema dell’immigrazione, con molte incomprensioni e pregiudizi su questa situazione, oltre al fatto che sono più consapevole delle cose che mi accadono intorno in quanto residente, contribuente, madre, moglie di un italiano.

È interessante notare le espressioni sospettose nel viso di alcuni quando sono con mio marito, quasi per domandarmi “Perché sei qui? Come mai sei sposata con un italiano?”. Quando me ne accorgo sorrido facendo notare che comprendo gli interrogativi che si pongono e la reazione è quasi d’imbarazzo. Quando sono con mio figlio, al contrario, tutti sembrano notarci, sorridono, cercano di rivolgermi la parola e fare domande gentili. Cosa che non capita quando sono sola. In quel caso gli atteggiamenti sono di diffidenza, distanza e in alcuni casi anche ostilità.

In tutte queste circostanze i miei primi sentimenti sono un insieme di tristezza, frustrazione e a volte rabbia. Solo dopo averci riflettuto riesco a consolarmi e comprendo che in fin dei conti in un matrimonio misto essere notata fa parte del gioco. Penso significhi essere speciale, e questo pensiero mi aiuta a vivere la situazione positivamente, anche con orgoglio. Se la mia vita non avesse valore non verrei notata. Allora cerco di trarre beneficio da questa condizione e, invece di isolarmi, trovo il modo di socializzare, coltivare amicizie, di sentirmi parte vitale dell’ambiente che mi circonda.

Considero quindi questo periodo come un’altra fase, anche se a volte non così piacevole come mi aspettavo e come ricordavo in un bel Paese con tante belle persone. Ecco perché ora mi ritrovo a sperare che la situazione evolva presto, verso una maggiore apertura e inclusività.

Doris Dery

Ha studiato Comunicazione Sociale. Ha insegnato, lavorato in radio e nel settore minerario per lo sviluppo sostenibile delle comunità rurali. Attualmente opera nella pubblica amministrazione. Le piace relazionarsi con le persone, leggere e viaggiare.

8 thoughts on “Io, africana in Italia, tra sospetti, imbarazzi e voglia di capire

    • Carissima Doris, sei Speciale non per la tua provenienza lontana, sei Speciale perché sei un’amica sincera, una persona buona, sensibile e sempre gentile, sei una mamma dolcissima… Ma ciò che ti rende ancora più Speciale è che sei una persona intelligente come poche altre!! Con grande stima e affetto, complimenti per la tua determinazione e per il tuo articolo!

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      • Bellissimo articolo cara Doris!
        Fantastica la tua voglia di capire, un desiderio che rispecchia il tuo essere attenta alla conoscenza e all’altro. È proprio la conoscenza che ti rende una Donna Intelligente come poche, una Grande Persona e Mamma. You are Great! Keep going!

        Risposta
  • Brava Sorella, cé pocchi gente come te! Andrà tutto bene Forza!!

    Risposta
  • Bellissimo articolo cara Doris!
    Fantastica la tua voglia di capire, un desiderio che rispecchia il tuo essere attenta alla conoscenza e all’altro. È proprio la conoscenza che ti rende una Donna Intelligente come poche, una Grande Persona e Mamma. You are Great! Keep going!

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  • Bellissima Madam sei l’unica ❤️

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  • Parole che segnano e fanno riflettere… Grazie per il tuo contributo Doris.
    Un abbraccio

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