23 Aprile 2024

Charlie Hebdo, Parigi e l’ipocrisia occidentale


Foto dell'utente Flickr Kelly Kline su licenza CC
Foto dell'utente Flickr Kelly Kline su licenza CC

[Traduzione a cura di Manuela Beccati, dall’articolo originale di * Ajamu Baraka pubblicato su Pambazuka News]

“Je Suis Charlie” è diventato lo slogan per giustificare l’eliminazione dei cosiddetti non-europei, per ignorare i sentimenti, i valori e le idee di coloro che in tono razzista sono considerati “altri”. In pratica, “Je Suis Charlie” è diventata l’arrogante parola d’ordine della supremazia bianca che ha avuto vasta risonanza con la marcia di Parigi – che ha riunito il potere “bianco” – e con la popolarità del nuovo numero di Charlie Hebdo.

I “civilizzati” hanno creato i miserabili, in modo risoluto e senza scrupoli, e non intendono sovvertire lo status quo; sono responsabili per il loro massacro e la loro riduzione in schiavitù; piovono bombe su bambini indifesi quando e dove decidono che i loro “interessi vitali” sono minacciati, e non hanno nessuno scrupolo a torturare un uomo fino alla morte; questa gente non è da prendere seriamente quando parla della “sacralità” della vita umana, o della coscienza del mondo civile. – James Baldwin

Più volte, nei miei lunghi anni di lotta, ho assistito allo spettacolo dell’arroganza eurocentrica e alla resistenza all’umiliante dominio del colonialismo/ capitalismo. La versione grottesca, all’alba del XXI secolo, del “fardello dell’uomo bianco” – che afferma che la comunità internazionale (leggi Occidente) ha una “responsabilità alla civilizzazione” sia morale che legale, di tutto il mondo non-europeo,   – può essere considerata un esempio calzante; un altro invece è il consenso generale della maggioranza occidentale al fatto che i propri Governi hanno il diritto di fare la guerra permanente contro gli “altri”, a destra e a manca, per mantenere l’ordine internazionale.

Eppure, quando credo di aver visto tutto, ecco che arriva la risposta all’attacco perpetrato ai danni della razzista, islamofoba redazione di Charlie Hebdo. Non dovrei esserne sorpreso, ma sono invece ancora totalmente sbalordito per il totale egocentrismo e l’arroganza ipocrita dell’Occidente.

Milioni di persone accorse domenica hanno affermato di essere in marcia in segno di solidarietà con le vittime di Charlie Hebdo e contro il terrorismo. Erano a braccetto con i leader politici provenienti da tutta Europa, Israele e altre parti del mondo – ma mentre accadeva questo è arrivata la notizia che almeno 2.000 nigeriani potevano aver perso la vita per mano di Boko Haram, un altro gruppo estremista islamico.

Certamente, sarebbero state opportune espressioni di solidarietà con i sopravvissuti in Nigeria in un raduno fatto appositamente per contrastare il terrorismo e difendere la sacralità della vita. Ma le espressioni di solidarietà non sono mai arrivate. In realtà, stando all’attenzione ricevuta dalla stampa occidentale, il massacro era come se non fosse mai accaduto.

È chiaro che c’è stato un programma diverso per la marcia e una diversa priorità di interessi per l’Europa. I francesi si sono mobilitati per difendere ciò che hanno letto come un attacco contro la civiltà occidentale. Tuttavia, gli eventi a Parigi non avrebbero dovuto essere inquadrati come un attacco esistenziale basato sui valori immaginati dall’Occidente liberale e bianco. Fornire contesti e fare alcune disamine politiche, poteva essere utile per cercare di capire cosa è successo nel Paese e un modo politico per andare oltre quell’appello allo sciovinismo razziale, quale è stato.

L’attacco avrebbe potuto provocare un dibattito onesto sull’esperienza di vita di molti musulmani che vivono in  Francia e sulla politica estera francese in varie nazioni musulmane e arabe. Si sarebbe potuto esaminare il nesso tra l’aumento dell’Islam radicale e la crescente attività dei servizi segreti francesi. Una discussione aperta poteva inquadrarlo come il classico risultato imprevedibile derivante dalla militarizzazione dei radicali wahabiti quale strumento di potere occidentale a partire dalla fine del 1970 fino al suo attuale incarico in Siria. Ma queste idee non sono state ammesse al forum su quell’enorme palco.

Je suis Charlie: le vite europee hanno sempre contato più delle altre

Lo slogan “Je Suis Charlie”, alla pari di quegli slogan pubblicitari ad effetto destinati a risvegliare l’inconscio e l’irrazionale, tuttavia, possiede punti di riferimento culturali, significati culturalmente integrati che evocano il desiderio di voler acquistare un prodotto, o in questo caso a identificarsi con una civiltà immaginata. Non importa che la presunta superiorità della civiltà occidentale e dei suoi valori si basa su menzogne e miti costruiti a tavolino; essa, tale presunta superiorità, è ancora alla base di una identità bianca interclasse e transnazionale.

L’identità bianca è così fortemente inculcata e nel contempo invisibile che l’identificazione con essa non è vista come parte delle politiche che coinvolgono persone di colore, piuttosto è visto come il solo modo di essere “umano”. E come abbiamo visto in questo fine settimana e in tutto il mondo coloniale, l’identificazione con i bianchi non è limitato dalla propria appartenenza “razziale” o nazionale.

Non è necessario in questo breve saggio affrontare anche la natura contraddittoria di come gli europei si auto-percepiscono, e di come tale percezione sia del tutto scollegata dalla sua pratica, e di come molte persone nel mondo vedono i 500 anni di egemonia europea come un interminabile incubo.

Tuttavia, per tutti quelli che credono che la semplice affermazione che la vita dei neri conta e che “il progresso razziale” sarà realizzato attraverso progressive riforme legislative derivate da una migliore comprensione di quanto siano nocive pratiche di discriminatorie razziali, le spontanee espressioni di solidarietà dei bianchi a cui abbiamo recentemente assistito, insieme al mantenimento dei loro privilegi, dovrebbero rappresentare un brusco risveglio.

Per decenni, in Francia la letteratura e la cultura di arabi e musulmani sono stati denigrati. Il pieno riconoscimento della letteratura di arabi e musulmani ha sempre avuto un costo – arabi e musulmani sono tenuti ad “assimilare,” per imitare gli stili di vita francese, utilizzando la lingua, adottando i valori e la visione del mondo dei loro padroni cosmopoliti. Le vecchie generazioni di colonizzati si sono sottoposte a tale rito degradante, ma le generazioni successive hanno riconosciuto questo prezzo come un’ulteriore forma di colonizzazione e hanno resistito.

È l’arrogante mancanza di rispetto per le idee e la cultura dei popoli non europei che ha ispirato il divieto francese di indossare il “niqab”, il velo tradizionale, e altri abiti femminili della tradizione musulmana, ed è solo un esempio del trattamento discriminatorio generalizzato di arabi e musulmani in Francia. In questo contesto da “lager”, il palese disprezzo di Charlie Hebdo e la sua mancanza di rispetto per un’altra religione, erano mascherati dietro il paravento dell’impegno assoluto per la libertà di parola che ha dato loro la coperta dell’immunità, ed è ora aggravata dalla campagna di “Je Suis Charlie”, orchestrata in nome del sostegno ai valori di una civiltà occidentale liberale.

Questo per molti di noi della comunità nera significa che “Je Suis Charlie” è diventato uno slogan per giustificare la cancellazione dei non-europei, l’ignoranza dei sentimenti, dei valori e la visione razzista dell'”altro”. In breve, Je suis Charlie è diventato un grido di battaglia arrogante della supremazia bianca a cui è stata data ampia risonanza con la marcia a Parigi dei “potenti bianchi” e dalla popolarità del nuovo numero di Charlie Hebdo.

Un quadro etico condiviso nell’attuale sistema capitalista-coloniale della supremazia bianca è impossibile. È profondamente radicato nella psiche europea e nelle contraddizioni delle sue tradizioni “umanistiche”, chi era considerato “pienamente umano” era colui che rientrava in tali tradizioni e il concetto di uguaglianza è sempre stato poco chiaro.

Il quadro etico contraddittorio che forma la visione del mondo dei parigini si fonda sulla divisione coloniale dell’umanità che è emersa dal movimento liberale degli umanisti nel XVIII secolo. Questa tradizione ha permesso all’umanità di essere divisa tra coloro che erano considerati pienamente umani, con diritti che andavano rispettati e quei popoli considerati non-esseri umani. Le terre di questi ultimi potevano quindi essere requisite, e loro potevano diventare schiavi o essere uccisi secondo il volere dei primi.

La valutazione della vita dei bianchi considerata superiore a quella di tutti gli altri è un aspetto fondamentale della supremazia bianca e non è limitato solo a coloro che potrebbero essere definiti bianchi. Ecco perché nessuno si preoccupa delle famiglie che piangono i loro cari in Nigeria e nessuno marcia per loro. Ecco perché la violenza anti-musulmana e anti-araba è esplosa in tutta la Francia, ma l’unica menzione sulla stampa occidentale è il presunto timore nella comunità ebraica. Ed è per questo che, dopo l’attentato di Baga, le autorità nigeriane sono state messe in silenzio fino a quando il presidente nigeriano, Jonathan Goodluck, finalmente ha rilasciato una dichiarazione sul terrorismo in cui ha condannato con forza l’attacco a Parigi.

[* Ajamu Baraka è da molti anni attivista per i diritti umani e veterano della Black Liberation. Attivo pacifista, è anti-apartheid e fa parte dei movimenti di solidarietà dell’America centrale negli Stati Uniti]

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