29 Marzo 2024

cheFare, reti territoriali per l’innovazione culturale e sociale

Il bando cheFare, promosso dall’Associazione Culturale Doppiozero, si presenta come «uno strumento di ricerca sui nuovi modi di fare cultura oggi in Italia». Una «piattaforma per la mappatura, la votazione e la realizzazione di progetti di innovazione culturale» nel Belpaese, con un occhio attento ai valori di impresa e di sostenibilità economica.

I progetti culturali che puntano sull’innovazione e sulla qualità delle idee possono concorrere all’assegnazione di una cifra per nulla trascurabile – 100.000 euro nell’ultima edizione – attraverso un bando che prevede la selezione dei progetti migliori, da mettere online per due mesi in modo da essere votati dal pubblico. Quelli – 8 – che hanno ottenuto più preferenze dalla Rete tornano ad essere valutati dalla giuria, che proclama il vincitore. Quest’anno l’iniziativa cheFare – cifre alla mano – è molto cresciuta e per il bando 2015 si annunciano già delle sorprese.

Nel seguito, la redazione di cheFare ci parla del progetto vincitore e dell’importanza del concetto di «fare rete». 



I numeri di cheFare dell’ultima edizione testimoniano una risposta significativa da parte degli utenti: 609 progetti, 71.000 voti, 400.000 visite al sito, 1.560.000 pagine visitate, 1.400 contenuti multimediali prodotti dalle comunità caricati su Timu. Vi aspettavate questa attenzione e questa partecipazione?

Il successo della scorsa edizione ci faceva ben sperare ma non ci aspettavamo questi numeri. Già dalla prima edizione la risposta al bando è stata eccezionale, questo ci fa pensare che non si tratti solo di un colpo di fortuna ma del fatto che abbiamo individuato un problema diffuso e attraverso lo strumento del bando cerchiamo di sviluppare una possibile risposta. Il centro della nostra proposta è che si debba passare dalle comunità se si vuole fare cultura in modo sostenibile e in mancanza di fondi istituzionali. Se prendiamo in esame il numero dei voti, per esempio, ci accorgeremo che sollecitare i concorrenti a fare rete con partner credibili, muoversi sul territorio per farsi conoscere e saper comunicare chiaramente il proprio progetto contribuisce considerevolmente alla buona partecipazione al bando.

Il progetto vincitore che è stato inaugurato lo scorso maggio è Di Casa in Casa: 9 Case di quartiere in 8 Circoscrizioni di Torino. I numeri anche qui sono impegnativi: 200 corsi e laboratori ogni anno, 420 eventi all’anno, 60 attività per bambini e famiglie, 30 attività su ambiente e sostenibilità, 33 sportelli di consulenza tematici, 10 attività commerciali. In che modo verranno impiegati i 100.000 euro del bando?

Il progetto prevede la costituzione e lo sviluppo di una rete tra le case di Torino già esistenti al fine di potenziare e migliorare l’offerta, stabilire degli standard di qualità sulle modalità di gestione, sperimentare un nuovo modello di welfare community leggero, promuovere la trasmissione di competenze, far crescere le esperienze attraverso una valutazione periodica sulle proprie azioni e sui propri obiettivi. Inoltre l’idea è quella di mettere a disposizione di associazioni, enti e gruppi informali gli spazi e gli strumenti di cui le Case dispongono.

In che modo questo progetto è facilmente riproducibile anche in altri contesti urbani?

Nessuno ha mai detto che lo sia. La prima Casa nasce nel 2007 e ha coinvolto moltissime persone con la loro intelligenza ed energia. Ora sono 9 e strutturare una rete diventa centrale. Più che altro noi ci auguriamo che questo modello venga riprodotto anche altrove, la loro particolarità risiede nel tipo di governance messa in atto nella gestione degli spazi e questo, sì, è riproducibile.

cheFare si presenta come “uno strumento per indagare le trasformazioni del presente e le strade del futuro”. Quanto agevolmente iniziative culturali promosse sul web riescono a reperire finanziamenti anche “dal basso”? Ci sono ancora forti resistenze, in particolare in Italia, a “investire” su progetti presentati in Rete?

Se pensiamo al crowdfunding ci rendiamo conto quanto si stia diffondendo questa modalità e a quale velocità. Kickstarter è stato lanciato nel 2009 e da allora in tutto il mondo, e anche in Italia, si sono moltiplicate le piattaforme che lavorano sull’attivazione di comunità e sul finanziamento dal basso.

cheFare “promuove la coniugazione dei valori di impresa e di sostenibilità economica con quelli della cultura”. Quanto una votazione online riesce a valorizzare la qualità e la sostenibilità nel tempo di un progetto culturale? E come sono stati scelti i componenti della giuria che ha decretato il vincitore? 

Tu ti stai riferendo ai criteri richiesti ai progetti partecipanti e in base ai quali avviene sia la preselezione sia la valutazione della giuria. Questi criteri sono in tutto otto e, oltre alla sostenibilità, fanno riferimento alla capacità di fare rete a livello territoriale e online, alla ricerca di forme innovative di progettazione della cultura, alla scalabilità e riproducibilità dei progetti, all’equità economica, all’impatto sociale positivo, a tutte quelle pratiche che intendono la cultura come bene comune e all’impiego di tecnologie e filosofie opensource.

Nel caso della preselezione, la valutazione viene fatta da noi e dai nostri partner ed è una fase molto delicata perché alla fine devono rimanere 40 progetti, tutti potenzialmente degni di vincere il premio. La giuria, invece, opera in modo parzialmente diverso, studiando le proposte finaliste secondo criteri qualitativi e non solo, a cominciare dalla valutazione di un business plan dettagliato del progetto che viene richiesto solo ai finalisti; perché vogliamo che cheFare sia di facile accesso e riteniamo inutile sovraccaricare i partecipanti con richieste impegnative da subito.

La fase di voto ha tutta un’altra finalità: quella di saggiare la capacità dei partecipanti di fare rete e promuovere il proprio progetto e contemporaneamente testare la presa della proposta sulle comunità.

I componenti della giuria vengono scelti in modo da rispecchiare il grado di complessità del nostro bando. Ecco perché cerchiamo sempre di avere profili molto diversi tra loro: editorialisti, ricercatori universitari, romanzieri, umanisti, esperti di economia della cultura. Pensiamo che in questo modo la scelta della giuria sarà più equilibrata e in grado di rispecchiare meglio le linee guida del bando.

Una volta selezionato il vincitore saremo noi, gli organizzatori del premio, a monitorare l’efficacia dell’impiego dei 100.000 euro, ovviamente facendoci aiutare dai nostri partner.

Quali erano i punti di forza degli altri 9 progetti selezionati?

Tutti i progetti finalisti erano di grande valore, ognuno con le sue specificità: alcuni erano più interessanti dal punto di vista della riqualificazione urbana, altri andavano a lavorare in modo virtuoso sulla filiera culturale per permettere una fruizione di contenuti culturali di qualità, altri ancora erano più spiccatamente politici. Ma anche alcuni di quelli che sono rimasti fuori dalla rosa dei 9 erano molto ben fatti. In generale siamo rimasti molto soddisfatti del livello qualitativo e progettuale delle proposte di quest’anno.

Doppiozero è una associazione aperta a tutti? In che modo chi fosse interessato può partecipare all’associazione?

In quanto associazione culturale, chiunque può diventare socio ordinario di Doppiozero. Per partecipare attivamente alla vita del gruppo, per la verità, esistono comunque molte altre strade. Una è quella di animare i canali social che per noi non sono uno strumento di marketing, ma una vera e propria piattaforma di discussione, confronto e contatto con i lettori e tra gli autori. La seconda è cominciare a scrivere per noi: sono in tutto ottocento i nostri autori, quasi trecento sono quelli attivi e un centinaio circa quelli che scrivono più assiduamente per noi. Proprio in questo periodo stiamo lavorando su nuove modalità di engagement e siamo sempre aperti a proposte di collaborazione.

Quando partirà il nuovo bando?

Attualmente stiamo lavorando alla terza edizione. Abbiamo deciso di cambiare molte cose e di implementare la presenza sul territorio ed il lavoro con le comunità perché il camp e l’esperienza di Bra, che ha visto i finalisti della precedente edizione autorganizzarsi e trovarsi a Bra per scambiarsi esperienze e prospettive, ci hanno insegnato che quella è la strada e che non si può essere sempre e solo online. Con ogni probabilità il nuovo bando avrà inizio nei primi mesi del 2015, adesso non riusciamo a essere più precisi, possiamo solo dirti che ci saranno delle sorprese.

Elena Paparelli

Giornalista freelance, lavora attualmente in Rai. Ha pubblicato tra gli altri i libri “Technovintage-Storia romantica degli strumenti di comunicazione” e “Favole per (quasi) adulti dal mondo animale”.

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