19 Aprile 2024

Democrazia congelata: un’autopsia della Costituzione islandese

[Nota: traduzione a cura di Davide Galati dall’articolo originale di Thorvaldur Gylfason su openDemocracy.]

Rivoluzione delle Pentole,Wikimedia Commons/OddurBen. Alcuni diritti riservati.

L’Islanda ha guadagnato il rispetto di molti osservatori in tutto il mondo nel momento in cui, dopo il crollo finanziario del 2008, il suo Parlamento ha deciso di tornare alle fondamenta e di rivedere la Costituzione del Paese. Una revisione costituzionale era attesa da tempo. Per quasi settanta anni la classe politica islandese aveva ripetutamente promesso, non riuscendo a farlo, di rivedere la Costituzione provvisoria del 1944, che era stata redatta in fretta con un minimo aggiustamento del testo approvato nel 1874, come parte della dichiarazione di indipendenza islandese dalla Danimarca occupata dai nazisti. Evidentemente la Costituzione del 1944 non è riuscita a impedire la supremazia dell’esecutivo e il clientelismo che hanno spianato la strada alla privatizzazione corrotta delle banche islandesi nel periodo 1998-2003 – nonché al loro successivo crollo qualche anno dopo.

Intelligenza collettiva

Di fronte allo sbattere di pentole e padelle della folla in Piazza del Parlamento a Reykjavik tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009, i politici ammisero il fallimento, accettando le richieste dei manifestanti tra le quali una nuova Costituzione.

Il nuovo governo post-crisi, che entrò in carica all’inizio del 2009 – il primo governo di maggioranza che non includeva né il Partito dell’Indipendenza di centrodestra né il Partito Progressista, agrario e di centro – compì una scelta all’avanguardia chiedendo ai cittadini, non ai politici, di elaborare una nuova Costituzione. A tal fine, il Parlamento nominò una commissione costituzionale di 7 membri per preparare il terreno e organizzare un’assemblea nazionale che comprendesse 950 cittadini estratti a caso dal registro nazionale.

L’assemblea nazionale, organizzata nel 2010 in conformità con il concetto di Intelligenza Collettiva concluse, dopo una rapida sessione di delibera nel mese di novembre, che una nuova Costituzione era necessaria e che avrebbe dovuto contenere alcune disposizioni fondamentali riguardanti, ad esempio, la riforma elettorale e la proprietà delle risorse naturali, per lungo tempo due delle questioni politiche più controverse in Islanda. Nel mese di ottobre dello stesso anno, anche il governo aveva tenuto un’elezione nazionale per un’assemblea costituente alla quale vennero chiamate 25 persone elette da una rosa di 522 candidati provenienti da tutti i ceti sociali, la maggior parte senza particolari affiliazioni politiche o appartenenti a gruppi di interesse.

Con l’assemblea costituente pronta per iniziare i lavori all’inizio del 2011, alcuni politici dell’opposizione non poterono nascondere il loro disappunto. La conclusione dell’assemblea nazionale rappresentava un inequivocabile appello alla revoca dei privilegi – per esempio, i privilegi di coloro che beneficiano di disparità di accesso alle proprietà comuni costituite dalle risorse naturali del Paese, nonché di diritti di voto diseguali. Comprensibilmente, la prospettiva di 25 individui su cui i partiti politici non avevano il controllo che iniziavano il loro lavoro guidati da un mandato legale per rivedere la Costituzione, in pieno accordo con le conclusioni della assemblea nazionale, mise a disagio alcuni uomini politici.

Ostacoli

Dopo cos’è successo? Tre persone con collegamenti documentati al Partito dell’Indipendenza, il principale partito politico in Islanda fino al crollo del 2008, presentarono una bizzarra denuncia tecnica sul modo in cui era stata condotta l’elezione dell’assemblea costituente. Sulla base di queste denunce, sei giudici della Corte Suprema, cinque dei quali erano stati nominati da una serie di ministri della Giustizia espressi dal Partito dell’Indipendenza nel corso del tempo, dichiarò nulla e invalida l’elezione – anche se nessuno aveva mai sostenuto che i risultati delle elezioni fossero totalmente condizionati dai presunti difetti tecnici.

Mai prima di allora un’elezione nazionale in una democrazia matura era stata invalidata per motivazioni di ordine tecnico. Il Parlamento reagì alla sentenza con la nomina dei 25 rappresentanti che avevano ricevuto più voti a un Consiglio Costituzionale, modificando in tal modo la nomina popolare dell’assemblea in una nomina parlamentare. Gli oppositori del cambiamento costituzionale celebrarono una prima vittoria e, successivamente, utilizzarono ogni mezzo per minare le attività del Consiglio.

L’opposizione non fu limitata al Partito dell’Indipendenza. I Progressisti, che in precedenza avevano espresso un forte sostegno per una nuova Costituzione, cambiarono rotta e si unirono agli oppositori alla riforma. Anche all’interno della nuova coalizione di governo di Alleanza Socialdemocratica e Sinistra-Movimento Verde c’erano sacche di resistenza passiva al cambiamento, nonché tra alcuni accademici evidentemente delusi perché non era stato chiesto loro di partecipare alla riscrittura della Costituzione.

Da dove quindi la feroce opposizione alla riforma costituzionale? Gli avversari principali erano i soliti sospetti: gli alleati politici dei gruppi di interessi particolare, come i proprietari di pescherecci che i politici avevano trasformato in uno Stato all’interno dello Stato attraverso l’assegnazione di preziose licenze di pesca gratis o quasi a gratis. L’opposizione provenne anche da politici che non avrebbero avuto grandi possibilità di essere rieletti al Parlamento con il principio di ‘una persona, un voto’ (dato che l’attuale sistema richiede molti più voti per essere eletti deputati a Reykjavik rispetto alle aree rurali). In effetti, la proprietà nazionale costituzionalmente protetta delle risorse naturali e la riforma elettorale per garantire ‘una persona, un voto’ erano i due principi cardine del disegno di legge.

Ma il Consiglio costituzionale non prestò attenzione a nulla di tutto ciò. In quattro mesi produsse un disegno di legge costituzionale che incorporava praticamente tutte le conclusioni dell’Assemblea nazionale, approvandolo all’unanimità, con 25 voti a zero, nessuna astensione, e consegnando il progetto di legge al Parlamento a metà del 2011. Nel corso della preparazione del progetto, il Consiglio chiese e ottenne il parere di numerosi esperti in diversi settori, nonché da cittadini comuni che furono invitati a offrire i loro commenti e suggerimenti sul sito web interattivo del Consiglio. I rappresentanti delle lobby, non abituati a non essere invitati alle riunioni legislative esclusive, non risposero a questi inviti aperti al pubblico. Dopo che il disegno di legge fu completato, non potero dunque lamentarsi del fatto che non erano stati consultati.

Dopo aver consegnato il disegno di legge al Parlamento, il Consiglio costituzionale si sciolse. Il Parlamento decise quindi di valutare ulteriori commenti da avvocati locali, nonché, in ultima analisi, dalla Venice Commission. Il Parlamento fu incoraggiato a tradurre il disegno di legge in inglese, in modo da sollecitare l’opinione di esperti stranieri, ma non diede risposta. Invece, una traduzione fu organizzata e pagata dalla Constitutional Society, un’organizzazione privata senza scopo di lucro. Questa traduzione ha reso possibile per costituzionalisti di fama mondiale come il Prof.Jon Elster della Columbia University e il Prof.Tom Ginsburg presso l’Università di Chicago di esprimere i loro utili commenti al disegno di legge.

Referendum

Il disegno di legge fu sottoposto a un referendum nazionale alla fine del 2012. Inizialmente, il Parlamento volle far coincidere il referendum con le elezioni presidenziali del giugno 2012, per garantire una buona affluenza, ma il Partito dell’Indipendenza e il Partito Progressista, all’opposizione, ricorsero all’ostruzionismo per ostacolare questo piano, tenendo in ostaggio il Parlamento per giorni e settimane.

Allo stesso tempo, si lamentarono di non aver avuto abbastanza tempo per esaminare il progetto di legge – il che derivava, naturalmente, in gran parte dalla loro riluttanza ad accettare e seguire il processo costituzionale. Quando al leader del Partito dell’Indipendenza venne fatta presente la sua faccia tosta [chutzpah nel testo originale], come quando uno uccide i propri genitori e poi chiede la grazia per il fatto che è un orfano, egli recriminò di essere stato ingiustamente paragonato ad un assassino.

In ogni caso il referendum fu ritardato fino a ottobre 2012. L’affluenza alle urne fu del 49 per cento. Non meno del 67 per cento degli elettori dichiarò il proprio sostegno al progetto di legge, nonché alle sue disposizioni specifiche quali la proprietà nazionale delle risorse naturali (83 per cento per il Sì) e uguali diritti di voto, il che significa ‘una persona, un voto’ (il 67 per cento per il Sì). Invitando gli elettori ad accettare o rifiutare la proposta di legge in toto (in particolare la prima domanda sulla scheda elettorale era: “Vuoi che le proposte del Consiglio costituzionale formino la base di un disegno di legge per una nuova Costituzione?”) così come le sue singole disposizioni chiave, la maggioranza parlamentare fu in grado di dire agli oppositori del disegno di legge: vedete, gli elettori sostengono sia il disegno di legge nel suo complesso che le sue disposizioni chiave. Visti i risultati, il Parlamento decise di proporre solo modifiche lessicali, ove considerato necessario, astenendosi da modifiche sostanziali. I cittadini si erano espressi.

Ulteriori ostacoli

I passi successivi si dimostrarono tuttavia complicati. Tre dei sette membri della commissione costituzionale che erano stati abbastanza unanimi nel loro lavoro, criticarono il disegno di legge, incuranti del risultato del referendum, comportandosi a posteriori come agenti dell’opposizione parlamentare alla riforma. La maggioranza formata dagli altri quattro si dimostrò fedele al disegno di riforma e rispettosa dei risultati del referendum. Un comitato di avvocati cui il Parlamento aveva richiesto suggerimenti solo in termini di lessico andò oltre il suo mandato, suggerendo tra le altre cose variazioni sostanziali alla clausola relativa alle risorse naturali in un tentativo malcelato di ostacolare l’intento del Consiglio costituzionale e la volontà degli elettori, come da loro espressa attraverso il referendum. Il Consiglio aveva reso chiaro nella sue proposte di revisione costituzionale come anche nei documenti a supporto che l’allocazione delle quote di pesca non conferivano ai beneficiari delle stesse alcun diritto di proprietà sui beni comuni. A suo credito, la commissione parlamentare in carica ripristinò la formulazione originale del Consiglio.

Non c’era carenza di competenze accademiche in seno al Consiglio, dato che cinque dei suoi 25 membri erano professori e altri tre ricercatori. Ma al contrario dei molti esperti universitari che avevano generosamente offerto il loro aiuto e consiglio durante i quattro mesi di serrato lavoro nel 2011, alcuni altri furono meno bendisposti.

Fu solo dopo il referendum dell’ottobre 2012 che alcuni degli studiosi contrari si spinsero a pronunciare commenti critici al testo di legge, presentati in articoli di giornale e interviste TV oltre che a una serie di conferenze organizzate da alcune università. Le critiche mosse erano generalmente di scarsa qualità oltre che tardive, riflettendo opinioni personali piuttosto che risultati di ricerche accademiche, e in totale disprezzo del piano di lavori stabilito dal Parlamento.

In un’intervista seguita al referendum, un professore definì il Consiglio “completamente illegittimo”, aggiungendo che avrebbe dovuto riscrivere la Costituzione “una certa élite” (presumibilmente includendo sé stesso). Il tempismo tardivo delle critiche è interessante, perchè l’Alleanza per una Nuova Costituzione, un’associazione privata costituita per spiegare il testo costituzionale agli elettori prima del referendum, aveva scritto ai rettori delle università prima del voto, chiedendo loro di incoraggiare i loro esperti a contribuire al dibattito pubblico sul testo. La loro reazione si manifestò solo dopo il referendum. Sembra che gli accademici dissenzienti sperassero che il testo fosse bocciato al referendum e che fosse dunque inutile discuterlo.

Fine del gioco

Un mese dopo la consultazione popolare, il Parlamento chiede alla Venice Commission le proprie valutazioni sul testo. In tempi record, la commissione produsse una bozza di rapporto con vari suggerimenti, parecchi dei quali furono incorporati dalla commissione parlamentare nel disegno di legge. Ora il testo era pronto per il voto finale in Parlamento. Una maggioranza di 32 deputati su 63 dichiararono in pubblico e per iscritto che avrebbero sostenuto la proposta e che avrebbero voluto vederlo approvato prima delle elezioni di aprile. Dati i numeri sopra riportati, sembrava probabile che solo quindici o venti deputati avrebbero votato contro; il referendum di ottobre 2012 era stato approvato con 35 voti favorevoli e 15 contrari, con 13 astenuti. La vittoria sembrava assicurata.

Lo era? I principali partiti dell’opposizione, il Partito dell’Indipendenza e i Progressisti, minacciarono un atto finale di ostruzionismo, una tattica che avevano usato con successo per ritardare il referendum del 2012 e per deragliare e smantellare varie altre iniziative legislative del governo. La maggioranza di governo che sosteneva il testo, incluso un piccolo partito di opposizione, il Movimento, possedevano i mezzi legislativi per contrastare l’ostruzionismo e prevenire i ritardi, ma si dimostrarono riluttanti, anche se era chiaro che questo significava uccidere la proposta di legge.

Io stesso ricevetti degli avvertimenti da alcuni parlamentari che la proposta non sarebbe passata; “sento odor di bruciato”, mi scrisse un deputato. Alcuni membri del Consiglio con buoni collegamenti al Parlamento avevano avvisato tutti che il sostegno parlamentare al testo era piuttosto debole. La strategia dell’Alleanza per una Nuova Costituzione era quella di far emergere la questione. Avevamo capito dall’inizio che a voto segreto il testo avrebbo potuto essere bocciato; dopotutto, mettersi contro i proprietari delle navi da pesca, in Islanda era considerato un suicidio dai deputati delle zone rurali.

Il Parlamento non opera tuttavia con il voto segreto, e questa era la chiave. In un tentativo condotto per assicurare il passaggio del testo costituzionale, il deputato Margrét Tryggvadóttir (membro della commissione) lo presentò come un emendamento a un altro testo collegato e presentato all’ultimo minuto. Ma il presidente del Parlamento portò questo testo al voto senza prima presentare l’emendamento, cosicchè il testo costituzionale non venne votato, in violazione delle procedure parlamentari. Questo accadde alle due di mattina dell’ultimo giorno utile prima della sospensione del Parlamento. I nemici della riforma costituzionale prevalsero e la democrazia fu congelata. Il governo indicò l’opposizione come colpevole della débacle, mentre il primo ministro uscente che aveva lanciato il processo nel 2009 sostenne che quello era stato il suo giorno più triste in 35 anni di attività parlamentare.

Dopo il ghiaccio, il disgelo

Le elezioni dello scorso aprile hanno portato a una coalizione di governo formata dal Partito dell’Indipendenza e i Progressisti, i due partiti che avevano condotto la grande privatizzazione delle banche e posto le condizioni per il crollo del 2008. I partiti rapresentati in Parlamento hanno a mala pena menzionato la Costituzione nella loro campagna; volevano evitare la questione. I Progressisti hanno vinto le elezioni promettendo la cancellazione immediata del debito delle famiglie. Una volta in carica, la prima cosa che hanno fatto – sorpresa, sopresa – è stata quella di consentire l’immediata riduzione fiscale per i proprietari dei pescherecci. E’ chiaro che i due partiti non hanno l’intenzione di riprendere in mano il testo costituzionale. A loro non importa che il 67% dei votanti abbia espresso supporto al testo e alle sue disposizioni chiave. Hanno inoltre deciso di congelare la domanda di adesione all’UE presentata dall’Islanda nel 2009. Prepariamoci per altro ghiaccio in futuro.

Come sempre, comunque, ci sarà un nuovo Parlamento dopo quello appena eletto. Un giorno, molto probabilmente, il testo di revisione costituzionale approvato dal popolo islandese nel referendum del 2012, o una proposta simile, diventerà legge dell’isola. Mantenete alta l’attenzione.

Davide Galati

Nato professionalmente nell'ambito finanziario e dedicatosi in passato all'economia internazionale, coltiva oggi la sua apertura al mondo attraverso i media digitali. Continua a credere nell'Economia della conoscenza come via di uscita dalla crisi. Co-fondatore ed editor della testata nonché presidente dell’omonima A.P.S.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *