28 Marzo 2024

La prima Commissione islamica per i diritti umani

[Traduzione di Gaia Resta dell’articolo originale di Marie Juul Petersen per openDemocracy.net]

Nel giugno 2011, cinquantasette Ministri degli Esteri si sono riuniti in Kazakistan con l’obiettivo di fondare la prima commissione islamica per i diritti umani, la Commissione Indipendente e Permanente per i Diritti dell’Uomo.

Questo nuovo organismo si riunirà per la prima volta questo mese.

Alla base della commissione c’è l’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC, Organization of the Islamic Cooperation*), tra le più grandi organizzazioni intergovernative del mondo, seconda soltanto alle Nazioni Unite. Dell’OIC fanno parte 57 Stati mediorientali, asiatici, africani e latinoamericani auto-dichiaratisi islamici. Come rilevato da Saad Khan in Reasserting International Islam: A Focus on the Organization of the Islamic Conference and Other Islamic Institutions, l’OIC rappresenta il 30 percento degli Stati membri dell’ONU, il 25 percento della superficie della Terra e oltre il 20 percento della popolazione mondiale.

L’OIC è stato fondata nel 1969 con lo scopo di rafforzare i rapporti di solidarietà tra i musulmani. Durante i suoi primi dieci anni di attività, l’organizzazione si è dedicata in particolare alla causa palestinese, alla salvaguardia dei luoghi sacri agli islamici e al consolidamento dei rapporti economici tra gli Stati membri. Nel 2005 è stato presentato un piano di rinnovamento dell’organizzazione, il Programma di Azione Decennale, che ha prodotto cambiamenti di rilievo. Oggi l’OIC è sempre più impegnata in settori quali l’aiuto e lo sviluppo umanitario, l’ambiente e i diritti delle donne. La neonata commissione per i diritti umani ricopre un ruolo importante in questo processo di cambiamento. Secondo quanto riportato in una newsletter dell’OIC datata febbraio 2009, “La creazione di un ente indipendente per i diritti umani da parte degli Stati membri dell’OIC è da considerarsi una delle fasi più importanti del processo di trasformazione dell’OIC.”

Secondo lo statuto, la commissione per i diritti umani e i suoi diciotto esperti indipendenti si adopereranno per “la promozione dei diritti umani” e per “sostenere gli sforzi degli Stati membri per il consolidamento dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali.” Ciò avverrà principalmente tramite consulenze legali agli Stati membri (per esempio su come relazionare all’ONU o come convertire i diritti umani in leggi nazionali), ma anche tramite campagne informative e collaborazioni con altre organizzazioni per i diritti umani. In quanto tale, la commissione non prenderà in carico casi di violazioni dei diritti umani, come invece fanno il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite e altre commissioni di tipo locale, ma ricoprirà la funzione di un organo consultivo, ispirato alla Commissione Consultiva per il Consiglio per i diritti umani dell’ONU.

Numerose sono le motivazioni per cui l’OIC ha fondato la commissione proprio in questo momento storico. Innanzitutto, l’organizzazione intende partecipare più attivamente alla comunità internazionale. “Tutto sta diventando parte della comunità internazionale”, ha dichiarato un dipendente dell’OIC. La guerra al terrorismo non ha solamente portato ai conflitti tra l’Occidente e il mondo islamico, ma ha paradossalmente evidenziato l’inevitabilità della comunità internazionale e l’impossibilità di sostenere strutture parallele.

Innanzitutto l’OIC, piuttosto che isolarsi, cerca di presentarsi come partner dell’Occidente, come esponente di un Islam moderato e moderno, del tutto compatibile con i valori e i principi della comunità internazionale. Durante l’incontro in Kazakistan, il Segretario Generale, Ekmeleddin Ihsanoglu, ha dichiarato di sperare che “quest’organo promuova la credibilità dell’OIC agli occhi del mondo esterno, contribuendo a consolidare la fiducia dell’OIC.”

In secondo luogo, l’OIC ha bisogno di consolidare la legittimità e il sostegno alle popolazioni degli Stati membri. Negli anni Ottanta e Novanta molti non conoscevano l’organizzazione, da cui il soprannome in inglese “Oh I See”  (“Oh, capisco”). Tra coloro che la conoscevano, molti la consideravano un’insignificante riunione di Paesi in uno stato di paralisi, in grado di trovarsi d’accordo solamente su una nuova condanna di Israele o su una fatwa su sottigliezze di natura teologica, incapace di avviare iniziative che facessero la differenza per i comuni cittadini. Grazie ad attività come gli aiuti umanitari, la cooperazione con le organizzazioni della società civile e la creazione di una commissione per i diritti umani, l’OIC si augura di migliorare la sua immagine, comunicando una nuova volontà di arrivare alle persone.

La necessità di un tale cambiamento è sorta naturalmente dopo la Primavera Araba. Gli eventi in Tunisia, Egitto, Yemen, Libia e anche in Bahrein hanno dimostrato in modo chiaro come la richiesta da parte della popolazione di uno stato sociale, di democrazia e di diritti non possa essere ignorata a lungo.

In terzo luogo, la creazione di una commissione riflette probabilmente un cambiamento nelle relazioni di potere interne all’OIC. L’Arabia Saudita e l’Iran, tra i maggiori finanziatori del bilancio dell’organizzazione, sono le voci storiche e più forti dell’OIC. Nonostante mantengano una posizione di rilievo nell’organizzazione, negli ultimi anni nuove e potenti voci si sono fatte sentire, come quella della Turchia e di altri cosiddetti “Stati islamici moderati” come la Malesia, il Marocco e l’Indonesia, sempre più influenti all’interno dell’organizzazione. L’Arabia Saudita e l’Iran sono più inclini a promuovere l’agenda politica, che include anche la diffusione dell’influenza della teocrazia, mentre la Turchia, la Malesia, il Marocco e l’Indonesia sembrano considerare l’OIC più come un forum per un’agenda culturale, incoraggiando la moderazione e il dialogo. Inoltre, questi Paesi hanno giocato un ruolo importante nel promuovere il progetto di una commissione per i diritti umani.

Su un livello in qualche modo differente, l’elezione nel 2005 di Ekmeleddin Ihsanoglu a Segretario Generale ha ulteriormente accelerato il processo di creazione della commissione. Ihsanoglu in persona ha fissato un panel con cinque esperti indipendenti sui diritti umani perché elaborassero lo statuto della commissione. Così come è stato Ihsanoglu a fare in modo che tutte le parti si accordassero circa l’adozione della stesura finale dello statuto.

Che tipo di commissione per i diritti umani sarà la Commissione Indipendente e Permanente per i Diritti Umani dell’OIC? E’ difficile dirlo, visto che deve ancora riunirsi per la prima volta. Tuttavia, ci sono dei segnali che puntano in direzioni diverse.

Un aspetto potenzialmente problematico è l’indipendenza limitata attribuita alla commissione nel suo statuto. Come riportato nell’Articolo13, “la Commissione sosterrà la posizione dell’OIC sui diritti umani a livello internazionale e consoliderà la cooperazione tra gli Stati membri per quanto concerne i diritti umani”, così come può solamente offrire servizi di consulenza “agli Stati membri che approvino” (Articolo 14). Inoltre, la commissione non è dotata di un mandato esplicito per indagare sulle violazioni dei diritti umani negli Stati membri, ma le è solo permesso di “condurre studi e ricerche su questioni prioritarie riguardanti i diritti umani” (Articolo 16). In ultimo, le segnalazioni della commissione non sono vincolanti ma devono essere approvate dal Consiglio dei Ministri degli Esteri.

La scelta della sede della commissione è un altro tema motivo di preoccupazione. Collocare la sede della commissione a Gedda invierebbe il giusto segnale? I dipendenti dell’OIC sottolineano l’importanza della distinzione tra l’OIC e l’Arabia Saudita. Così come l’ONU non coincide con gli Stati Uniti solamente perché il suo quartier generale si trova a New York, allo stesso modo l’OIC non è l’Arabia Saudita solo perché la sede del Segretariato Generale si trova a Gedda. Ciononostante, istituire la sede della commissione nel Paese con uno dei peggiori primati circa i diritti umani danneggerà inevitabilmente l’immagine della commissione.

In terzo luogo, il gruppo di esperti che costituisce la commissione è, nel bene e nel male, un misto. Oltre a rappresentanti della società civile, diplomatici dell’ONU e docenti universitari con esperienza pluriennale nell’ambito dei diritti umani, fanno parte della commissione anche persone con ben pochi meriti nel suddetto ambito, così come altre note per la loro forte opposizione ad alcune parti dell’agenda internazionale circa i diritti umani.

Nonostante tutti questi motivi di preoccupazione, la commissione è per certi versi molto promettente. Soprattutto, la commissione è il risultato della forte volontà politica degli Stati membri di creare un meccanismo in difesa dei diritti umani. Come ha dichiarato un dipendente, “Tutto quello che era previsto nel piano decennale è stato realizzato in metà tempo, a comprovare l’unanimità sulla questione.”

In secondo luogo, grazie alla commissione, gli Stati membri dell’OIC hanno costruito un forum aperto alle critiche interne e all’autocritica. In passato l’OIC aveva mostrato una certa tendenza a concentrarsi più sulle violazioni dei diritti umani al di fuori degli Stati dell’OIC che al loro interno (per esempio, le violazioni a danno delle minoranza islamiche in Occidente). Contemporeaneamente, le segnalazioni riguardo le violazioni all’interno dell’OIC provenivano da fonti esterne all’OIC. Un rappresentante di uno degli Stati membri ha dichiarato durante la riunione in Kazakistan in cui è stata fondata la commissione: “Questa è la prima volta in cui una tale operazione viene portata a compimento nel mondo islamico. Sarà cento volte meglio sapere cosa succede nei nostri Paesi dalla nostra gente, che dal mondo esterno.”

In terzo luogo, nonostante le sopracitate critiche riguardo alcuni esperti della commissione, si rilevano anche aspetti positivi. I diciotto esperti non sono tutti rappresentanti dei governi, come apparentemente l’Iran avrebbe preferito, ma rappresentanti più o meno indipendenti della società civile, docenti universitari e diplomatici. La maggior parte di loro ha esperienza nell’ambito dei diritti umani a livello nazionale, regionale o internazionale. Almeno sette esperti sono stati, o sono, membri di uffici, comitati o commissioni per i diritti umani. Uno di loro è membro di una commissione regionale per i diritti umani, e tre sono stati o sono tra i delegati del loro Paese all’ONU. Tre di loro sono donne, un numero che senz’altro si può migliorare, ma che è tuttavia alto per un’organizzazione con meno del 5 percento di dipendenti donne nel Segretariato Generale.

In ultimo, la commissione potrebbe essere il mezzo per la costruzione di un rapporto più stretto tra l’OIC e la società civile. Anche se le relazioni devono ancora essere formalizzate, l’Articolo 15 apre proprio alla cooperazione con la società civile: “La Commissione promuoverà e sosterrà il ruolo degli Stati membri, delle istituzioni nazionali accreditate e delle organizzazioni della società civile attive nell’ambito dei diritti umani.” Lo svolgimento delle riunioni in luoghi di volta in volta differenti (la prima si terrà a gennaio in Indonesia) faciliterà ulteriormente la cooperazione con le organizzazioni della società civile locale.

Infine, il futuro della neonata commissione per i diritti umani non dipenderà unicamente dagli esperti della commissione, dagli Stati membri dell’OIC o dalle organizzazioni della società civile. Un rappresentante di primo piano dell’ONU, che ha seguito da vicino la’istituzione della commissione, ha dichiarato che il successo della commissione dipenderà molto anche dalla comunità internazionale e dalla sua volontà di impegnarsi nella commissione, indirizzandone idee e attività verso la giusta direzione: “Sono ottimista riguardo la commissione, nella misura in cui questa riceverà il giusto sostegno tecnico. E’ importante che le organizzazioni regionali e internazionali vengano coinvolte nella commissione dell’OIC, la aiutino a partire e convincano l’OIC di avere tutte le potenzialità per diventare qualcosa di buono, sia per lo stesso OIC che per la comunità internazionale.”

*OIC stava inizialmente per Organizzazione della Conferenza Islamica, nel giugno 2011 il nome è stato modificato in Organizzazione della Cooperazione Islamica.

L’articolo è stato redatto in base a interviste svoltesi nell’ottobre 2011 con dipendenti del Segretariato Generale dell’OIC a Gebba, in Arabia Saudita, rappresentati dell’ONU e della società civle.

Gaia Resta

Traduttrice, editor e sottotitolista dall'inglese e dallo spagnolo in ambito culturale, in particolare il cinema e il teatro. L'interesse per un'analisi critica dell'attualità e per i diritti umani l'ha avvicinata al giornalismo di approfondimento e partecipativo.

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