29 Marzo 2024

Repubblica Centrafricana, il Paese delle meraviglie(2)

Andando da Bangui verso M’baiki, nella Prefettura della Lobaye, dal nome del fiume che ne segna il confine occidentale, si percorre una delle poche strade asfaltate del Paese: 108 chilometri in buono stato, salvo le buche lasciate dalla stagione delle piogge che proprio ora sta finendo.
Il paesaggio è quello suburbano della periferia di Bangui per un bel tratto. Poi comincia il verde, gli alberi altissimi e dritti con poche foglie solo in cima e, in basso, tanto verde di sottobosco.
Mi fermo per quasi un mese a M’baiki e dintorni e ho modo di imparare a conoscere la vita della cittadina, visitare i villaggi nella foresta, parlare con la gente.
La vita di questo grande villaggio (ha circa trentamila abitanti) ruota, come quasi sempre, intorno al grande mercato. Le donne, ma anche molti giovani, vanno al mattino presto in campagna o nella foresta a raccogliere quanto andranno poi a vendere sulle loro tovaglie o sui piccoli banchi: manioca in tuberi, manioca macinata, foglie di manioca, pasta di arachidi, bananine da mangiare, banane planten da cucinare, papaye che ora stanno maturando, qualche avocado precoce… e poi la legna, in pezzi piccoli da ardere, tanto pesce affumicato di cui si stenta a capire l’origine: alcuni pesci vengono dal fiume Obangui, altri dal Lobaye, altri dai piccoli torrentelli che si stanno esaurendo rapidamente con il primo caldo.

Mi domando quali siano le regole che governano questa cittadina, ma soprattutto i villaggi che costituiscono l’ossatura storica dell’hinterland.
Fino a qualche anno fa il villaggio era “governato” da tre persone: il “vecchio saggio”, che faceva da consigliere e giudice di pace, il medico, erborista, che curava la gente, e lo “stregone” (nganga) che aveva il precipuo compito di trovare le cause delle malattie e delle disgrazie… Così avveniva che se uno si ammalava lo stregone cercava nella famiglia, e solo al suo interno, il “responsabile” della malattia: quando si riusciva ad identificare chi voleva abbastanza male all’ammalato, si passava alle vie di fatto. Per la cura si poteva provvedere con punizioni che potevano arrivare alla castrazione, all’abbandono su una piroga lungo il fiume con un macigno al collo, all’uccisione di una ragazza vergine o di un uomo a colpi di “machete”…
Ora le cose stanno cambiando e questi episodi si ripetono ancora ma con sempre minor frequenza e molto spesso con l’intervento dei giudici della “prefettura” e quindi di una legge meno feroce, anche se poi possono maturare comunque episodi violenti “a posteriori”.

Nei villaggi all’interno della foresta è difficile essere accolti calorosamente, non tanto perché la gente sia ostile quanto per l’atavica paura dell’uomo bianco, delle macchine fotografiche che ti portano via l’anima, o magari un figlio… Ci sono molti giovani che cercano il contatto con il forestiero che è comunque portatore di novità e magari anche di soldi, ma c’è sempre il pensiero che alla fine siano loro a perdere in qualsiasi scambio.

Anche qui il tempo corre e le tecnologie arrivano: i telefoni cellulari stanno invadendo il mercato, anche se l’uso maggiore è quello dell’ascolto musicale dei giovani, nonostante il costo delle telefonate sia veramente molto basso: con circa un euro e mezzo si può parlare per circa quattro minuti con l’Italia… ma per telefonare per lo stesso tempo da Mbaiki a Bangui si spendono circa 50€cent.
Come nelle altre aree africane l’informatica sta arrivando ma pochi si possono comprare un computer, ancora in meno hanno la possibilità di alimentarlo e la maggioranza non sa abbastanza bene il francese per poterlo usare in modo veramente valido!
A M’baiki qualcuno aveva provato ad aprire un “cyber cafè”, ma è andata male… forse era troppo in anticipo sul futuro…

Il problema dell’energia elettrica è comunque il primo: a Bangui la corrente c’è ad ore, a M’baiki, come nelle altre cittadine, quasi mai, e i generatori a miscela o a gasolio costano cifre esorbitanti non solo all’acquisto ma soprattutto durante l’utilizzo, visti i costi dei carburanti.
L’alimentazione a energia solare è ancora piuttosto rara, almeno tra la popolazione locale: cominciano ora ad arrivare pannelli solari e batterie cinesi, ma ancora a prezzi impossibili per gente che vive con la vendita di qualche pezzo di legna da ardere, di qualche chilo di farina di manioca, di un casco di banane o di qualche avocado…

[Tutte le foto sono di Paolo Merlo.]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *