19 Aprile 2024

Il ‘Viaggio di un Tuareg’ visto e raccontato da due bambini, telecamera in mano

Solo Andata, il viaggio di un Tuareg” è il titolo del documentario di Fabio Caramaschi, il racconto del viaggio di Sidi e Alkhassoum, due fratelli Tuareg separati dal loro destino di migrazione. Dopo il successo di pubblico riscosso in occasione di Contest 2010, la rassegna di opere documentarie che coinvolge i giovani davanti (e dietro) la macchina da presa, il film replica al Nuovo Cinema Aquila di Roma, giovedì 3 di febbraio alle 20.30 (sarà presente il regista per domande e discussioni).

Locandina del docu-film 'Solo andata. Viaggio di un Tuareg' di Fabio Caramaschi

La storia viene raccontata dai due bambini di 6 e 10 anni, telecamera in mano. E’ Il padre a lasciare per primo il villaggio sperduto nel deserto del Teneré, in Niger. Seguendo la rotta dei migranti raggiunge l’Italia, e da clandestino svolge qualche lavoretto prima a Palermo e poi a Napoli. Ma è una fabbrica del nordest ad offrirgli un contratto fisso e la tanto sognata opportunità di portare i figli in Italia per farli studiare. La famiglia decide così di trasferirsi nel distretto post moderno del Paese, fatto di fabbriche e capannoni e patria della Lega.

A 10 anni Sidi viene catapultato a Porcia, provincia di Pordenone, dove i Tuareg hanno creato una piccola comunità. Come un perfetto bambino italiano va a scuola, gioca alla playstation, tifa il Milan e tira qualche calcio al pallone con i compagni nel parco del quartiere. Il fratello Alkhassoum di 6 anni è dovuto restare in Niger per motivi legali, e assieme al nonno custodisce la tradizione degli uomini blu, e si occupa delle capre e dei cammelli. Saranno proprio i bambini e la loro lucida ingenuità ad interpretare la scelta del padre, che si è trasformata in un viaggio di ‘Solo Andata’.

Grazie all’eccellente montaggio di Silvia Caracciolo, la separazione fisica dei due fratelli viene rappresentata con l’alternanza delle riprese, dalle sequenze girate in Niger in un bianco e nero d’altri tempi a quelle contemporanee e meccanizzate del nordest industriale, dal rapporto con la madre terra alle fabbriche e al cemento. Questa è anche la storia di un popolo, quello Tuareg, che ha lottato da sempre per i propri diritti, sin dai tempi della colonizzazione francese fino ai conflitti attuali, scatenati dalle condizioni di lavoro precarie nelle miniere nigerine di estrazione dell’uranio.

I Tuareg ‘italiani’ hanno scelto la zona di Pordenone e hanno dimostrato un eccellente spirito di adattamento, pur con il rammarico di aver barattato una millenaria tradizione di pastori erranti con il fordismo industriale che stenta a sopravvivere alla crisi economica globale. La scelta è così radicale da far riflettere. Quando Sidi chiede al padre cosa significhi tuareg, il padre risponde:

“Tuareg significa uomini liberi”, e dopo una pausa di riflessione aggiunge “ma qui non sono libero come quando vivevo nel deserto”.

La forza dei Tuareg è frutto di una profonda spiritualità, e tra i tanti messaggi celati nelle immagini del documentario, il regista usa delle bellissime citazioni del Corano, tra cui la ‘Sura del Ferro’ che in uno dei suoi versetti recita:

“Non abbiate a disperarvi per quello che vi sfugge né a vantarvi per ciò che vi è stato concesso”.

Immagine di Alkhassoum tratta dal documentario

La saggezza di queste parole ci svela  la determinazione dei tuareg e di tutti i migranti che scelgono di vivere lontani dalla propria terra, una terra così ricca di cultura, musica e paesaggi infiniti, per un luogo dove in cambio di un maggiore benessere economico si finisce oggetto di scherno di quella parte xenofoba della società che rinnega ai migranti diritti e dignità. Quello di Caramaschi è un esperimento riuscito di ‘Cinema partecipativo’ dove la sottile e onnipresente mano del regista lascia agli attori lo spazio d’interpretazione e di libera espressione, dando loro l’opportunità di testimoniare la profonda scelta di migrazione e l’urgenza di riscatto della propria dignità.

Questi e molti altri i temi affrontati con dedizione da Caramaschi in questo importante film documentario girato in prima persona e raccontato anima e cuore dai protagonisti. Il grande schermo ci offre la brillante conclusione di un lungo e delicato lavoro durato 8 anni e fatto di avvicinamento, studio e comprensione di un fenomeno in continua evoluzione: la migrazione del popolo Tuareg.

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Fabio Caramaschi ha ottenuto vari riconoscimenti alla regia e alla fotografia (Premio Flaiano, Premio Kodak, Premio Libero Bizzarri, Maremma doc fest, Roma doc fest, Premio Cinemavvenire) per i suoi documentari ‘Residence Roma’ (2001) a ‘Dietro palla o dietro porta’ (2004), entrambi trasmessi da RaiTre. I suoi reportage televisivi sono stati tramessi tra gli altri da RaiUno, Raidue, RaiTre, RAI educational, RaiSat, La7, BBC, CNN, UN Development Channel.

Beatrice Borgato

Traduttrice e globetrotter appassionata di arte, comunicazione e culture orientali. Le lingue e i nuovi media le permettono di contribuire a diffondere conoscenza e informare i cittadini rispetto alle tematiche globali.

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