23 Aprile 2024

America Latina: rivedere la ‘global governance’ in chiave economica

[Nota: l’articolo integrale di Elena Zagnoni è pubblicato su Equilibri.net e coperto da copyright, ripreso dietro autorizzazione].

Tra il 6 ed il 10 ottobre si è svolta a Washington la ventiduesima riunione del Fondo Monetario Internazionale (FMI), che ha portato alla redazione del World Economic Outlook autunnale del 2010. Nonostante si preveda una ripresa dalla crisi a livello mondiale (+4,8%), viene anche sottolineato come questo risultato sarà possibile grazie agli sforzi delle economie emergenti. In particolare, viene pronosticato che il 2010 rappresenterà un anno eccellente per l’economia dell’America Latina, rivedendo le aspettative di crescita della regione di aprile scorso (0,9%) verso un più soddisfacente 5,7%.

I motivi di forza della regione risiedono essenzialmente nella sua separazione dal ciclo economico dei Paesi più ricchi che, anche se non è completa, è abbastanza significativa e le ha permesso di ripararsi da alcuni degli effetti più devastanti della crisi economica del 2008. In questo senso, i Paesi per cui il FMI prevede una crescita maggiore sono proprio quelli (Brasile 7,5% , Cile 5%, Colombia 4,7%, Perù 8,3%) con una forte domanda interna e dei forti legami con la Cina e le economie asiatiche emergenti, verso cui si sono rivolte le loro esportazioni. Vengono inoltre enfatizzate le valide e flessibili politiche macroeconomiche dell’Uruguay, lodato dal FMI con una crescita prevista dell’8,5 % (a fronte del 5,7% di aprile).

Il FMI precisa però che l’America Latina è una realtà molto complessa, emettendo quindi previsioni meno ottimiste per i Paesi dell’area caraibica (+2,4%) e per il Messico (+5% nel 2010 e +3,9% nel 2011), maggiormente dipendenti dal turismo dei Paesi sviluppati e, soprattutto, dall’economia statunitense (i primi attraverso trasferimenti monetari, il secondo a causa del sistema finanziario). Nonostante ciò, l’unico Paese con una crescita negativa è il Venezuela (-1,3%), provato secondo il Fondo da un’ingente fuga di capitali e da una mancanza d’investimenti nel sistema produttivo che ha impedito le capacità di sviluppo dello Stato.

Immagine di Imfphoto su Flickr, su licenza CC - NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic

Riforma del sistema di quote

Durante il summit del FMI è sorta un’importante discussione riguardo al sistema d’attribuzione delle quote vigente nell’Organismo Internazionale. In particolare le economie emergenti hanno presentato numerose rimostranze e criticato un sistema di rappresentanza a loro parere squilibrato. Nel sistema del FMI, ad ogni membro viene assegnato un certo numero di quote, in base alla sua importanza nell’economia mondiale, che determina l’ammontare di risorse che si è obbligati a versare, la possibilità d’accesso ai finanziamenti e l’influenza che si potrà avere all’interno dell’organizzazione (in termini di numeri di voti). Gli EMDC [Mercati Emergenti] sono compatti nel chiedere una ridistribuzione di tali quote e quindi del potere di voto all’interno del Fondo, sostenendo che l’assetto attuale non sarebbe più rappresentativo dei rapporti economici globali.

Infatti i Paesi emergenti detengono il 39,5% delle quote del FMI, ma il loro peso nel sistema economico internazionale, partendo da un 40% nel 2000, eccederebbe oggi il 50% (secondo una stima dello stesso Fondo) e sarebbe in continua crescita, potendo attivare al 55% nel 2014. Al contrario, la loro quota aggregata nel FMI è cresciuta di appena due punti percentuali negli ultimi 10 anni. La richiesta degli EMDC consisterebbe in un adeguamento della distribuzione delle quote agli equilibri globali attuali, spostando un 5-6% dai Paesi sviluppati ai Paesi emergenti, senza intaccare lo stock di quote dei Paesi più poveri.

Anche Enrique Iglesias, Segretario Generale della Segreteria Ibero-americano ed ex segretario esecutivo della CEPAL, ha appoggiato le rivendicazioni effettuate dagli EMDC, proponendo inoltre una modifica nell’Executive Board, organo esecutivo dell’istituto formato da 24 membri. Vengono criticati i voti (16,7%) appartenenti agli Stati Uniti, con cui godono di potere di veto all’interno del Consiglio, e la terza parte delle poltrone riservate all’Europa, sovra-stimando il peso di Paesi quali Olanda (2,4%), Belgio (2,1%) e Svizzera (1,6%). Al contrario, al Sud America vengono assegnati solo due poltrone e una all’America Centrale. Il Messico è il Paese che attualmente detiene il maggior numero di quote, 1,4%, ma con l’attuazione della riforma diventerebbe il Brasile con l’1,8%.

Conclusioni

Si capisce chiaramente come Paesi sviluppati e Paesi emergenti si stiano muovendo oggi a velocità diverse, adottando politiche economiche divergenti. I Paesi avanzati sembrano infatti preferire politiche economiche espansive ed aggressive, in risposta ad una debole ripresa dalla crisi, ad un tasso di disoccupazione crescente e, in alcuni casi, ad un rischio di deflazione. In particolare, l’abbassamento dei tassi d’interesse da parte delle Banche Centrali sembra aver spinto ingenti flussi di capitali verso i mercati dell’America Latina, che attirano capitali stranieri a causa del loro potenziale di crescita. Si verifica in questo modo un’entrata eccessiva di dollari all’interno dei Paesi dell’area, che reagiscono controllando la rivalutazione delle loro monete per non compromettere la competitività delle esportazioni.

In questa “guerra dei capitali” a livello mondiale, è chiara l’intenzione del FMI di assumere il ruolo di arbitro internazionale, sostituendo un G20 incapace di gestire la ripresa dalla crisi in modo congiunto e di frenare le politiche protezionistiche dei Paesi sviluppati. Il  Presidente dell’IMFC Boutros-Ghali conferma che il FMI creerà nuovi strumenti ed organi di vigilanza che trasformino l’istituzione nello “sceriffo dei mercati dei cambi”. Il Direttore del Fondo Strauss-Khan esprime l’intenzione di collocare il FMI in una “nuova dimensione più capace di combattere i problemi mondiali”. Infine, anche il Segretario del Tesoro statunitense Geithner appoggia un ruolo più attivo del FMI nella risoluzione del conflitto dei cambi.

D’altro lato, l’America Latina appare poco propensa a restare ai margini delle dinamiche globali e ad affidare le sorti dell’economia mondiale ad un Organismo che non la rappresenta appieno.  La sfida per le economie sudamericane più solide sarà quella di riuscire a sfruttare al meglio l’attuale congiuntura economica, che potrebbe portare ad uno sviluppo duraturo ma che presenta allo stesso tempo, come si è visto, alcuni rischi. Appare quindi auspicabile un mix di diverse politiche: flessibilità cambiaria per evitare d’attrarre ulteriori capitali, politica fiscale più pronunciata, maggiore vigilanza e controllo finanziari. In questo modo, è probabile che nel 2011 la ripresa dalla crisi verrà sostenuta ancora da America Latina e dai Paesi asiatici emergenti, rendendo inevitabile una riforma all’interno del FMI.

[Nota: stralci dall’articolo integrale di Elena Zagnoni, pubblicato su Equilibri.net e coperto da copyright, ripreso dietro autorizzazione].

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